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Questo articolo è stato pubblicato il 21 ottobre 2010 alle ore 08:03.
L'ultima modifica è del 21 ottobre 2010 alle ore 09:39.

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Genitori preoccupati per i figli su Facebook. Ragazzi che s'interrogano. Aziende che bloccano l'accesso al social network durante l'orario di lavoro. Facebook è ancora un fenomeno, in Italia. Ma è ormai tanto grande da aver reso popolari anche le controversie sul suo funzionamento e sui diritti dei suoi utenti.

Due dati. Il primo: gli utenti di Facebook stanno calando in Italia. Erano cresciuti esponenzialmente dal gennaio 2008, avevano raggiunto i 10 milioni nel giugno 2009 e i 16,8 milioni nel luglio scorso. Ma nei due mesi successivi sono invece diminuiti di 200mila unità, secondo l'Osservatorio Facebook tenuto da Vincenzo Cosenza. Che spiega il fenomeno con un'ipotesi tecnica: il social network si starebbe ripulendo dagli abbonati palesemente falsi. Sta di fatto che la fase di crescita impetuosa di Facebook, in Italia, è finita.
Il secondo dato: gli utenti di Facebook sono più interessati alla loro privacy. Un indizio si trova in Google Trends.

Il servizio consente di visualizzare il numero di volte che le persone interrogano Google cercando informazioni intorno a un concetto e il numero di volte che quel concetto è citato dai giornali. Ebbene: negli ultimi due anni è raddoppiato il numero delle ricerche effettuate sui termini abbinati privacy e Facebook. Nella classifica delle nazioni più curiose su questo argomento, l'Italia è al terzo posto nel mondo.

Intanto, sono aumentati sensibilmente anche gli articoli dei giornali dedicati alla materia. Alcuni con grande risonanza. Il Wall Street Journal, qualche giorno fa, ha rivelato, per esempio, che le applicazioni che girano su Facebook, come i giochi collettivi, sono fatte in modo da poter inviare dati sulle persone che le usano fuori dalla piattaforma del social network. La reazione alle critiche da parte dei rappresentanti di Facebook è stata tranquilla: hanno sostenuto che i termini di utilizzo del servizio avvertono gli utenti del fatto che questo genere di trattamento dei dati personali è previsto. Ma attenzione: si tratta solo dei dati che le persone hanno acconsentito a rendere pubblici usando gli strumenti messi a disposizione dal social network per controllare il livello di privacy.

La giurista Laura Turini ha brillantemente commentato questa vicenda sul sito ilsole24ore.com e sul quotidiano di oggi a pagina 34, osservando che la policy di Facebook in materia di privacy è cambiata nel tempo, nel senso di diventare molto più trasparente. Chi usa il servizio sa bene, in effetti, che gli strumenti per controllare il livello di privacy delle informazioni che si registrano sul proprio profilo sono migliorati nel tempo. E che le infinite pagine di regole che caratterizzavano i termini di servizio di Facebook qualche anno fa si sono ridotte, per quanto riguarda la privacy, a qualche videata che contiene complessivamente circa 64mila battute: come dire, tre o quattro pagine fitte del Sole 24 Ore. Ma il senso, afferma Turini, è chiaro: Facebook dice in modo trasparente ai suoi utenti che intende mantenere molti gradi di libertà nell'uso dei dati personali degli utenti.

La logica è chiara e coerente. Da sempre Mark Zuckerberg, il fondatore, sostiene che il suo social network è un servizio destinato a migliorare le comunicazioni tra le persone. E il suo contributo a migliorarle è sostanzialmente quello di facilitare l'utilizzo della rete e di favorire un dialogo tra persone reali, minimizzando la presenza sul social network di finte identità e anonimi. Come tutti sanno, questa partita è tutt'altro che vinta. Ma la tendenza è storicamente questa e i dati personali degli utenti sono richiesti all'atto dell'iscrizione proprio per poter andare in questa direzione. Insomma: Facebook è fatto per far parlare persone che si conoscono e dunque induce ad abbassare la guardia sulla privacy. Il problema è che più gli utenti sono tranquilli da questo punto di vista, più scrivono cose personali. E la stessa Facebook o i suoi clienti inserzionisti pubblicitari possono accedere a un ricchissimo insieme di dati: tanto più rilevante quanto meno gli utenti stanno attenti a come definiscono il loro livello di privacy preferito.

A fronte di questa situazione, un'attenta lettura alle decine di pagine che si trovano su internet e che consigliano su come usare i comandi per definire la privacy su Facebook è importante. Perché non si tratta di strumenti facili da usare e comprendere a fondo. E Facebook effettivamente trasmette all'esterno tutti i dati che gli utenti hanno lasciato, volontariamente o involontariamente, pubblici.

La complessità della questione è elevata. La vera difesa sulla quale gli utenti di Facebook possono contare per proteggere ciò che non vogliono rendere pubblico non è nello strumento: è dentro di loro. Devono imparare a scrivere su Facebook solo ciò che non hanno problemi a far diventare di dominio pubblico. La protezione della privacy è nella consapevolezza delle persone.

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