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Dal Tibet al Sudan, la protesta corre sui social network. Come si aggira la censura

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Questo articolo è stato pubblicato il 29 gennaio 2011 alle ore 20:26.

Resta ferrea la censura online in Egitto: gli attivisti locali non hanno più accesso al social network twitter dal 25 gennaio, utilizzato per inviare brevi messaggi e segnalazioni in diretta. A bloccarlo sono state le autorità del Cairo.

Internet e social network non sono né il bene né il male, ma il nuovo campo della battaglia per il potere (di Christian Rocca)

Come si aggira l'oscuramento dei social network
Tre giorni dopo anche Facebook e Google hanno visto una brusca diminuzione del traffico di dati: gran parte degli operatori di telecomunicazione ha chiuso in poche ore le strade per collegarsi a internet. Ma la reazione è stata rapida: chi può ancora navigare ha ottenuto indirizzi web alternativi per connettersi a Facebook e Twitter, rilanciati attraverso email, sms e forum, con un meccanismo simile alla moltiplicazione dei punti di ingresso ("mirror") per gli archivi di WikiLeaks. Già tre anni fa in Egitto un gruppo di studenti, riuniti sotto il nome di «Gruppo 6 aprile», aveva organizzato giornate di protesta anche attraverso il passaparola in social network e forum.

Due milioni di utenti Facebook in Tunisia
Ad accendere la miccia sono state le manifestazioni in Tunisia, dove gli utenti locali di Facebook sono due milioni: per settimane hanno rilanciato le proteste nei gruppi sul web. Il Sudan, invece, attende il risultato del referendum per l'indipendenza delle regioni meridionali: sono già partiti gruppi su Facebook in vista delle dimostrazioni nelle strade della capitale Khartoum. Anche in Medio Oriente è arrivata l'eco della protesta: alcuni attivisti libanesi hanno inviato fotografie su twitter che mostrano le manifestazioni in sostegno dei contestatori egiziani.

Sul twitter cinese scompare la parola "Egitto"
Effetto rete. Weibo è il Twitter cinese: la parola «Egitto» è scomparsa nei messaggi inviati dai suoi utenti, cancellata dalla censura. Per dieci mesi le autorità di Pechino hanno bloccato o centellinato i collegamenti a internet dal Xinjiang (Tibet) dopo gli scontri etnici tra han e uiguri musulmani: secondo Time è stato il primo grande blackout per l'accesso online.

In Cina non è consentita la partecipazione su Twitter, Facebook, Youtube, come evidenzia HerdictWeb, un progetto del Berkman center di Harvard. Ma le piattaforme di social networking locale (ad esempio, QQ e il forum Tianya) sono molto frequentate, anche se poco note in Occidente: anzi, su internet è esplosa la rabbia dei cittadini dopo le truffe per la ricostruzione in seguito al terremoto in Sichuan. Ma oltre la grande muraglia cinese digitale di Pechino si moltiplicano i progetti che coinvolgono gli attivisti. A partire dalle specificità territoriali.

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La mappa delle proteste segnalate via sms
È stata Crowdmap, per esempio, a mappare le proteste del 25 gennaio in Egitto: ha raccolto in una cartina online le segnalazioni inviate su internet e attraverso sms. È un'idea sviluppata da Ushahidi, un gruppo di attivisti kenioti e sudafricani: durante le elezioni presidenziali a Nairobi del 2007 hanno costruito in poche settimane uno spazio online dove riunire i messaggi arrivati dalle aree rurali per testimoniare brogli nelle urne e violenze. In America Latina, invece, attraverso Facebook i colombiani hanno organizzato nel 2008 una manifestazione contro i guerriglieri delle Farc.

Il 3% degli utenti internet aggira la censura
Scorciatoie informatiche. Il 3% degli utenti di internet mette mano a strumenti software per aggirare la censura: è una stima del Berkman Center. Certo, si tratta di una quota significativa. Ma le barriere tecniche restano elevate. Il metodo più semplice è l'uso di "server proxy" (un computer che funge da intermediario tra quello dell'utente e Internet), accessibili anche via web, per aggirare i filtri online. Tor, invece, è un software progettato in origine dalla marina militare degli Stati Uniti: impedisce il tracciamento diretto della navigazione di un utente attraverso l'ingresso in una network "peer to peer" (la tecnologia alla base dei principali programmi di condivisione file come BitTorrent o eMule). Ma non è inviolabile. L'installazione di reti private virtuali (vpn) aiuta a evitare le restrizioni della censura in molte nazioni (Cina inclusa), ma richiede competenze tecnologiche più avanzate.

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