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Questo articolo è stato pubblicato il 06 maggio 2011 alle ore 14:13.

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Nella foto Alberto Sacchi, presidente di FedermacchineNella foto Alberto Sacchi, presidente di Federmacchine

"Riportare in primo piano la tecnologia ma accompagnandola con marketing, strategia e business. A parole è facile, lo so, nella pratica è invece più complesso". Scherza Alberto Sacchi, presidente di Federmacchine a margine dell'incontro organizzato da Machines Italia (Ice) per presentare la ricerca Awarness Survey.

"Le indicazioni che arrivano dagli Stati Uniti delineano un quadro ben noto agli operatori del settore (qui il link all'articolo della ricerca ndr). "I nostri impreditori che vanno all'estero fanno più fatica. Per fronteggiare la concorrenza tedesca devono recuperare un gap che è prima di tutto di immagine, non tecnologico. Ormai il mercato conosce i meriti della nostra tecnologia, sa che l'Italia non è solo alimentare e moda, con il tempo ha imparato ad apprezzare le nostre macchine. Infatti, come dice la ricerca, chi compra da noi non cambia più. Dobbiamo però presentarci come attori completi, fare cross selling e guardare ai mercati emergenti con investimenti diretti, garantendo presenza e customer service".

È finita insomma l'era dell'export mordi e fuggi, servono filiali, uffici, fornitori di pezzi di ricambio, manager capaci di entrare in sintonia con la cultura del paese. Sul sito di Machines Italia che ora si rivolge anche al mercato domestico viene rappresentata l'intera filiera, gli attori e caratteristiche dell'offerta."Gli stereotipi sono difficili da combattere – spiega Matteo Picariello di Ice, da anni attivo nella promozione dei settori della meccanica strumentale - ma questa non è una battaglia contro i mulini a vento come si potrebbe pensare".

L'avventura americana infatti insegna che gli investimenti diretti pagano. "Siamo il marchio di calandre più venduto negli Stati Unit – racconta Orazio Davi presidente di Davi – lavoriamo in un nicchia ma pian pianino siamo diventati i numeri uno di questo mercato". L'imprenditore emiliano racconta che all'inizio è stato difficile: gli americani ragionano con logiche e categorie diverse dalle nostre. "Il cambiamento è avvenuto quando abbiamo deciso di aprire non una ma due filiali. Una a Dallas e una a Rockford. Essere lì, avere persone, stabilimenti pezzi di ricambio è rassicurante per il cliente Usa".

L'altro asset che ha consentito a Davi di vincere la sfida americana è l'investimento in ricerca e sviluppo. Oltre un milione di euro in brevetti. "Nessun concorrente spende come noi in R&s – osserva -. E sono soldi spesi bene perché gli americani apprezzano chi produce qualità".

Oltre alla tecnologia conta però anche la cultura. Per Riccardo Cavanna, amministratore delegato di Cavanna, un gruppo che produce macchine per il packaging specializzato nel settore alimentare all'inizio entrare nella testa degli americani non è stato affatto semplice. "Sono un grande Paese – ha raccontato – ma hanno standard, regole e logiche diverse dalle nostre. Parlo in base alla mia esperienza, ma posso dire che noi europei siamo più precisi, siamo attenti ai bilanci, ai regolamenti interni.

Abbiamo un concetto diverso di efficienza". Ma è appunto proprio la cultura l'ostacolo principale. "I loro manager sono individualisti ma quando sbagliano sono i primi a farsi avanti. Spesso considerano la sostenibilità una parola di moda, non guardano altre l'Atlantico. Per entrare nella loro testa abbiamo come loro ragionato in grande. Il nostro è un mercato maturo. Per crescere bisogna strappare quote di mercato alla concorrenza. In più purtroppo Agli americani piace comprare americano. Se sei europeo devi mettere radici da loro altrimenti ti precepiscono come Cristoforo Colombo che primo o poi salta su una caravella e se ne torna a casa".

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