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Questo articolo è stato pubblicato il 29 giugno 2014 alle ore 08:13.
L'ultima modifica è del 30 luglio 2014 alle ore 15:11.

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Il concetto di open data (dati aperti) si basa su una definizione molto semplice: la possibilità per chiunque di usare, riusare e distribuire i dati a qualsiasi scopo. Non si tratta pertanto di sola tecnologia ma di un insieme di regole (permessi) attraverso cui costruire e rendere disponibili dati. La tecnologia deve solo fare attenzione ad abilitare questo processo.
I dati sono alla base della gerarchia della conoscenza, e, pertanto, il loro accesso è fondamentale. Aprire i dati vuol dire offrire un bene comune. La pubblica amministrazione è l'attore maggiormente indicato a occuparsi di questo, e, quindi, il suo ruolo nello scenario degli open data, è molto importante.
La stessa pratica dell'Open government – ovvero il necessario per creare dialogo fra cittadini e pubblica amministrazione – vede l'open data alla base di questo processo.
Si tratta del primo pilastro attraverso cui sviluppare il tutto, in particolare per permettere a chiunque di verificare e misurare gli output degli amministratori. È anche per questo che, molto spesso, il concetto di open data è affiancato (o confuso) con quello di trasparenza.
Bisogna però fare bene attenzione che capire dati, gestirli, manipolarli e trasformarli in informazione è comunque un'attività complessa.
Inoltre, l'apertura dei dati, richiede un grosso lavoro di riorganizzazione e la relativa capacità di usare strumenti informatici oltre una serie di obblighi per garantire anonimato (es. privacy e segreto statistico) che spesso portano a distribuire dataset in forma molto aggregata.
Uno dei punti più carenti è comunque quello di avere una cultura del dato, che implica tantissime problematiche riassumibili con il concetto di "darsi ordine". Essendo il processo oneroso è importante saper convogliare le proprie energie realizzando una strategia di apertura.
L'abbracciare il modello dell'Open government è molto importante in quanto propone di strutturare questo processo attraverso il dialogo con i cittadini.
Le linee guida per la valorizzazione del patrimonio informativo pubblico del l'Agenzia per l'Italia Digitale sono un'ottima guida in tal senso. Il capitolo 5 si intitola «Modello operativo per la produzione e gestione dei dati di tipo aperto» e affronta una sezione dal titolo «Engagement» (Coinvolgimento); da qui viene ripreso un noto articolo di Tim Davies (nel team dell'Open government) in Gran Bretagna che individua cinque passaggi importanti: essere seguiti dalla domanda, inserire dati nel contesto, supportare conversazioni intorno ai dati, creare capacità, competenze e reti e, infine, collaborare su dati come una risorsa comune.
Non serve seguire tutto il processo, ma già accompagnare i dati presentando il motivo per cui nascono e una relativa narrativa aiutano ad avvicinare le persone, a stimolare la discussione, creare nuove idee e competenze utili.
Ci sono molte persone in Italia interessate a capire meglio come la nostra pubblica amministrazione funziona e come questa possa essere migliorata. Vanno sotto il nome di civic hackers. Sono persone pronte a utilizzare il loro talento per capire i dati e offrire strumenti utili. Progetti come Openparlamento od Openbilancio o ConfiscatiBene o Monithon (si vedano gli altri articoli in pagina, ndr) ne sono fra le espressioni.
Molti di questi partono dalla voglia di capire e far capire, monitorare e offrire strumenti per combattere inefficienze. Se i dati non sono strutturati sono pronti a usare il loro talento per derivarli da documenti o siti web. Sono le comunità con cui l'Open government si confronta, con cui è possibile migliorare i nostri governi.
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