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Questo articolo è stato pubblicato il 01 luglio 2014 alle ore 10:10.
L'ultima modifica è del 01 luglio 2014 alle ore 11:35.

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Nel 2012, per una settimana, Facebook ha condotto una ricerca modificando l'algoritmo che utilizza per l'aggiornamento dello stato del News Feed di 689.003 utenti con lo scopo di studiare le loro risposte emotive. I risultati di tale alterazione sono stati, due anni dopo, pubblicati negli atti della National Academy of Sciences (PNAS). Questa é la notizia che ha scatenato un vero e proprio newsquake e ha coinvolto media Internazionali. Nonostante le scuse pubbliche e le spiegazioni ufficiali di Adam D. I. Kramer, capo del progetto, che ha postato sulla sua pagina del social netwok, fra la schiera di inquisitori, ovviamente, c'è il gruppo di difensori e di accusatori.

Marc Andreessen, VC start della Silicon Valley, si schiera dalla parte del Social Newtork e ai dibattiti ha risposto in un tweet sottolineando come l'intero mondo stia, oggi così come in passato, manipolando quindi perché tanto rumore? E' conoscenza comune che parole e immagini diffuse su un qualsiasi schermo possono influenzare le emozioni e gli stati d'animo del pubblico a tal punto da spingerli in acquisti e scelte per lo più inconsapevoli o "media" telecomandati. "Facebook come ogni altra grande azienda con una importante presenza sul web - dice Tal Yarkoni (talyarkoni.org), direttore del Pyschinformatics Lab presso l'Università del Texas - conduce costantemente ricerche e analisi sul comportamento degli utenti. Scienziati e ricercatori specializzati in user experience a Facebook, Twitter, Google, svolgono abitualmente migliaia di esperimenti al giorno, ognuno dei quali coinvolge utenti scelti in modo casuale e soggetti a condizioni diverse". Internet, quindi, secondo il professore sembrerebbe un carosello ininterrotto di manipolazioni e suggerisce agli utenti che se tale controllo genera fastidio sarebbe meglio spegnere la rete ed evitare di iscriversi a qualsiasi tipo di social network.

La questione centrale, ovviamente, non é decidere se spegnere o accendere l'interruttore del web, ma l'intera polemica ruota attorno al modo in cui Facebook ha raccolto le infomazioni: la ricerca é stata condotta senza chiedere un esplicito consenso da parte degli utenti. Nel suo "Data Use Policy" infatti il social network specifica che, una volta iscritti, le informazioni ricevute possono essere usate per operazioni interne, analisi dei data, test, ricerche e servizi di miglioramento e che tali informazioni potrebbero essere usate anche da operatori esterni per condurre ricerche varie. "Questi termini e condizioni - racconta Francoise Gilbert, managing director del IT Law group, uno studio di avvocati specializzato in Information Privacy & Security con sede in Silicon Valley - non sono mai specifiche, ma molto generali. Il problema é che molti utenti non si interrogano a sufficienza sul significato di tali parole. L'azione di Facebook in questo caso, quindi, é' legale". Zeynep Tufekci, membro del Center for Information Technology Policy della Princeton University e autrice di technosociology.org, un blog specializzato nell'interazione fra tecnologia e società in un post su Medium ha sottolineato di come ciò che é accaduto non sia qualcosa che coinvolge solo le News Feed di Facebook ma include qualcosa di molto più invasivo del semplice uso delle informazioni che gli utenti fornisco ai vari socila network.

James Grimmelmann, professore di legge presso l'University of Maryland e autore del blog The Laboratorium (laboratorium.net) scrive che queste grandi società hanno ora nuovi strumenti e metodi furtivi per moderllare in modo pacato la nostra personalità, giocare con la nostra vulnerabilità e plasmare le nostre idee, desideri e sogni. Ed é questo uno dei più grandi cambiamenti che stanno avvenendo nella realzione fra le persone e le grandi istituzioni, forse il più grande del 21esimo secolo.

Se per aziende private, come Facebook, non esiste ancora un protocollo ufficiale che regolarizzi tali studi psicologici, per Istituti di ricerca come l'University of California e la Cornell University, enti coinvolti, esistono regole precise. Secondo Gillemann tale analisi, infatti, avrebbe dovuto avere l'approvazione di un Comitato di Controllo Interno e quindi seguire norme federali perché coinvolge "soggetti umani." Secondo le norme federali, infatti, per ricerca si intende "uno studio sistematico con prove e valutazioni, volte a sviluppare o contribuire alla conoscenza generale. In questo caso, quindi, ciò che va verificato é il livello di partecipazione delle due università al progetto. Sul sito della Cornell University si legge in un comunicato che Jeffrey Hancock, professore di comunicazione e scienza dell'informazione, e Jamie Guilloru, al tempo dottorando, oggi professore all'University of California, personaggi coinvolti, hanno analizzato solamente i risultati relativi al contagio emotivo dei News Feed, ma non hanno partecipato alla raccolta dei data perche' non avevano accesso a tali informazioni. Il loro lavoro, pertanto, si é limitato a iniziali discussioni sul caso, analisi dei risulati della ricerca e collaborazione con Adam Kramer di Facebook nella preparazione del documento. Secondo l'università, quindi, Facebook ha agito in modo indipendente e i professori hanno solo revisionato i risultati.

Il dibattito è quindi ancora aperto e indipendentemente dalla legalità o meno della ricerca, tutti i social network dovrebbero aggiornare le loro "Data Use Policy" in modo preciso e più comprensibile per i vari utenti e comunicare loro ogni volta che le informazioni private vengono usate per determinate ricerche. Dall'altro lato, noi tutti utenti, dovremmo diventare più consapevoli di come usiamo i vari canali sociali e se teniamo alla nostra privacy dovremmo allenarci all'arte delle riservatezza.

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