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Questo articolo è stato pubblicato il 20 luglio 2014 alle ore 08:12.

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a Città pedonalizzate, ciclabili, respirabili. La parola d'ordine per le città del futuro è densificazione del tessuto urbano e rarefazione delle auto. Da qui al 2030 i centri urbani globali dovranno ospitare un miliardo di nuovi cittadini, che si spostano là dove c'è più lavoro, più ricchezza e più vita sociale. Ma le metropoli non possono continuare a espandersi, come hanno fatto negli ultimi 50 anni: per il pendolarismo urbano il limite massimo è un'ora di viaggio. D'altra parte, non possono nemmeno consentire l'ingresso di milioni di auto nei centri cittadini, già oggi troppo inquinati. Di conseguenza, occorre riconvertire all'uso abitativo le strutture produttive dismesse, ma soprattutto potenziare i trasporti pubblici e riconquistare spazi interstiziali per la collettività o il verde. «Le città avanzate non sono quelle dove i poveri vanno in macchina, ma quelle dove i ricchi prendono i mezzi pubblici», sostiene Enrique Peñalosa, il mitico sindaco verde di Bogotà. «I pedoni, i ciclisti e gli utenti dei mezzi pubblici sono più importanti degli automobilisti», gli fa eco Michael Bloomberg, il sindaco che ha riempito New York di piste ciclabili. Su queste premesse, cresce l'economia della prossimità e arretra lo sprawl.
«A Stoccolma come a Manhattan, i prezzi delle case salgono in relazione alla possibilità di raggiungere a piedi scuole, ristoranti, parchi e mezzi pubblici», fa notare Alexander Ståhle, l'architetto e urbanista svedese che per primo ha steso una mappa dei "sociotopi", ovvero gli spazi pubblici, come parchi o piazze, che presentano un alto valore sociale nel loro utilizzo da parte dei cittadini. Basta aprire un annuncio immobiliare di una grande città nordamericana o nordeuropea per capire cosa intende Ståhle: un buon punteggio sulla scala dell'accessibilità pedonale (walkability score) viene certificato e presentato agli acquirenti come elemento importante ai fini della valutazione dell'immobile. Il mercato ha già incorporato l'economia della prossimità.
Il grado di accessibilità pedonale è un dato usato anche per misurare l'attrattività delle aree urbane. In base a un'analisi spaziale condotta nel 2011 dallo studio di Ståhle su 7mila vendite di appartamenti a Stoccolma, per conto della municipalità, risulta evidente l'importanza fondamentale delle distanze pedonali o ciclabili dai trasporti pubblici per stabilire il valore di un'area, mentre la prossimità alle vie d'accesso automobilistiche non riveste alcuna rilevanza. Anzi. Il traffico è considerato uno dei principali demeriti di un'area: le auto sporcano l'aria, fanno rumore, occupano più spazio dei trasporti pubblici e causano ogni anno 39 milioni di feriti e 1 milione e 200mila morti per colpa di incidenti stradali, oltre alle vittime dell'inquinamento. Malgrado ciò, le strutture urbane dipendenti dall'auto sono pesantemente sovvenzionate: l'enorme spazio occupato dai parcheggi ha una priorità molto più alta delle piste ciclabili o dello spazio pedonalizzato nelle politiche locali e nessuno valuta i costi sociali e ambientali causati dalle autostrade e dalle vaste periferie anonime che si formano ai loro margini.
Ma questi orientamenti, che hanno guidato la pianificazione territoriale negli ultimi decenni, stanno cambiando. Non a caso, 1/3 dei mall dei suburbs americani è fallito o sta chiudendo. Le metropoli Usa con un alto grado di accessibilità pedonale, come Manhattan o San Francisco, hanno un Pil pro capite superiore del 38%, in media, rispetto alle città dominate dal traffico, secondo lo studio della George Washington University School of Business insieme a Locus, un programma di Smart Growth America. Lo studio ha scoperto che gli abitanti delle aree metropolitane più compatte hanno costi di alloggio e trasporti inferiori agli altri e una mobilità economica superiore, vivono più a lungo e sono più in salute, con meno casi di obesità e di incidenti. Quindi, vivere in centro è più sano, più sicuro e più conveniente che abitare in periferia.
La prossimità crea vivibilità, socialità, innovazione. Questo è il motivo per cui città come Londra o Milano hanno limitato l'accesso del centro alle macchine, Barcellona o Tel Aviv hanno riscattato gli spazi portuali dismessi all'uso collettivo, e Parigi o Berlino hanno riconvertito a parchi pubblici i binari morti del Gleisdreieck o della Petite Ceinture. Ma non basta. «La trasformazione sostenibile deve diventare centrale anche per le regioni circostanti, nel caso di Milano la Lombardia», sostiene Edoardo Croci, direttore di ricerca allo Iefe, il centro di economia e politica dell'energia e del l'ambiente della Bocconi, oltre che artefice dell'Ecopass quando era assessore alla Mobilità di Milano e presidente di MilanoSiMuove, l'associazione che ha promosso i 5 referendum sull'ambiente tre anni fa. Milano è sulla buona strada nell'economia della prossimità: solo il 30% degli spostamenti si verifica via auto, mentre nel resto d'Italia il rapporto è inverso e la quota dell'auto prevale, con il 60-70% degli spostamenti, in base al Libro Bianco sui trasporti dell'Eurispes. Eppure le richieste avanzate dai milanesi con i referendum finora sono state disattese: non più del 20% delle proposte sul traffico, il verde e l'uso efficiente dello spazio pubblico è stato realizzato. Siamo solo all'inizio.
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