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Questo articolo è stato pubblicato il 27 luglio 2014 alle ore 08:12.
L'ultima modifica è del 27 luglio 2014 alle ore 13:50.

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a Facebook, Twitter, LinkedIn. E ancora: quotidiani online, e-mail, motori di ricerca. Per chiunque lavori nel mondo delle professioni, la vita quotidiana è diventata un flusso di informazioni che, grazie a tablet e smartphone, ci seguono ovunque, giorno e notte. Ma è possibile che l'essere "always on", sempre bombardati da informazioni, sempre disponibili e raggiungibili, non abbia alcun effetto sul nostro cervello - che è plastico, e può modificare la propria circuitazione a seconda degli stimoli esterni? E questo cambiamento ci rende peggiori, migliori o diversi?
Per interpretare quello che sta succedendo aiutano alcune parole d'ordine. Innanzitutto "ecologia dei media". Coniata nel 1968 dal teorico dei media Neil Postman, questa espressione indica il fatto che i mezzi, le modalità e le tecnologie di comunicazione formano un vero e proprio ecosistema in cui noi esseri umani ci troviamo immersi e che, lungi dal fungere soloda mezzo di comunicazione, plasmerebbe la nostra vita quotidiana, gli affari umani e la nostra stessa percezione della realtà. E poi abbiamo la nozione di "dieta mediatica", metafora usata per indicare sia la quantità di informazioni assunte quotidianamente, sia il tentativo di controllare che tale flusso ininterrotto ci travolga da un punto di vista cognitivo. Secondo il tecnologo Clay Johnson, autore di "The Information Diet", il paragone tra l'assunzione di informazioni e di cibo non è casuale: proprio come nel caso dell'alimentazione, tendiamo a "cominciare dal dessert", cioè a cercare prima le informazioni più curiose e "golose", a prescindere dalla loro utilità e consistenza. E così arriviamo alla terza parola d'ordine, ossia "sovraccarico cognitivo" (information overload), cioè l'esposizione a quantità enormi di informazioni che non riusciamo a metabolizzare. Già nel 1962 James Miller parlava di "information input overload", sottolineando l'impossibilità di assimilare il contenuto delle decine di migliaia di riviste scientifiche esistenti all'epoca. Siamo immersi in un ecostema mediatico che ci impone una dieta informativa pesante: non mancano studiosi che si sono chiesti se questo "stile di vita" possa influire sulla struttura del nostro cervello.
Non ci sono studi a lungo termine che analizzino gli effetti sul sistema nervoso dell'utilizzo di internet "always on" nell'arco di decenni. Ci sono ricerche circoscritte. Ad esempio Angelika Dimoka, studiosa del Center for Neural Decision Making alla Temple University, ha analizzato l'attività cerebrale di volontari che lavoravano a problemi logici di complessità crescente. Lo studio ha mostrato come l'esposizione a una quantità crescente di informazione era associata all'aumento dell'attività della corteccia prefrontale dorsolaterale, una regione responsabile delle decisioni e del controllo emotivo. Quando le informazioni eccedevano una certa soglia, l'area in questione si spegneva: il sovraccarico informativo continuato ci spingerebbe a commettere errori di distrazione e a prendere decisioni non ponderate. Alcuni anni fa l'esperto di tecnologia del New York Times Matt Richel ha effettuato un curioso esperimento. Il giornalista ha accompagnato alcuni neuroscienziati in un ritiro settimanale in un remoto angolo dello Utah, proibendo loro cellulari e internet. Risultato: tutti hanno notato di essere più rilassati, di dormire meglio, e - se interrogati - di ponderare più a lungo sulle risposte. In generale, svariati studi neuroscientifici evidenziano come gli utenti pesanti di media elettronici abbiano difficoltà a filtrare informazioni rilevanti e a focalizzarsi su un compito. Quando suona il telefono o vibra il cellulare - nota Richel - otteniamo una scarica di adrenalina, in assenza della quale proviamo poi noia. Finiamo per essere condizionati a rispondere in modo automatico e ad accogliere con piacere queste interruzioni.
Dire però che i media elettronici fanno solo male sarebbe una semplificazione: basti pensare al celebre "Effetto Flynn" (dal nome dello studioso Usa che l'ha scoperto, James Flynn), per cui nel XX secolo in Occidente abbiamo assistito a una progressiva crescita del quoziente intellettivo medio della popolazione - un fenomeno legato allo sviluppo delle tecnologie di comunicazione elettronica. Il cibo della mente è necessario. Abusarne fa male. La vacanza è salutare.
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