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Questo articolo è stato pubblicato il 26 ottobre 2014 alle ore 08:12.

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a Immaginate di disporre gratuitamente di una risorsa. Sarebbe un paradosso pensare a come generare profitto e come costruire un business redditizio partendo da quella risorsa? Elinor Ostrom, Nobel per l'economia, aveva affrontato la questione ragionando sulla gestione dei beni collettivi sorretta da progettazione istituzionale e norme sociali adeguate. Il salto al caso specifico dei commons digitali e degli open data risulta automatico. La filosofia alla base della condivisione dei dati non esclude il riutilizzo degli stessi a fini commerciali. È il caso di diverse imprese italiane che basano la propria attività di business su questa filosofia. A Trento, Michele Barbera, pioniere in questo settore, classe 1979, ha fondato Spaziodati, una startup che ha puntato molto su open data nella fase embrionale, ottenendo di recente un cospicuo investimento (1,5 milioni di euro) da parte di Cerved Group. In Italia, Barbera e co. rappresenta una solida realtà, sulla quale ancora timidamente si scommette. In Uk, il governo ha finanziato The Open Data Institute (The Odi). Ho incontrato il ceo Gavin Starks diverse volte. Starks dichiara spesso che oggi l'open data rappresenta ciò che era il web nel 1994.
Non a caso nel board di The Odi, oltre a Starks, ci sono sir Tim Berners Lee, proprio lui, l'inventore del web, e sir Nigel Shaboldt, pioniere della web science e personaggio chiave nella creazione delle policy open data. Visionari a capo di una delle realtà più interessanti e vibranti del settore. Visitando la sede di The Odi a Shoreditch, si ha l'impressione di essere in una tech startup in piena regola. Qui siete liberi di visitare lo spazio, di conoscere mentori e creatori di startup visionarie che sperimentano nuovi modelli di business open data, testandone il potere trasformativo. Sono circa una ventina le startup che lavorano in The Odi. Da Mastodon C a OpenCorporates, da Placr con la sua TransportApi a Provenance. Dalla big data analytics al monitoraggio del consumo energetico, qui si implementano nuovi modelli di business, che partono da open data declinandoli in modi diversi: come base per elaborare dataset più aggiornati, come autentica merce, come base su cui costruire reputazione o proporre servizi extra a pagamento. Tra gli obiettivi primari di The Odi c'è quello di stimolare un cambiamento culturale e di promuovere lo sviluppo di un'ecosistema che sfrutti a pieno questo potenziale, sia sociale che economico.
In Italia, l'adozione di questo approccio ha coinvolto istituzioni di ricerca nel mondo dell'Ict all'avanguardia come la Fondazione Bruno Kessler (Fbk) diventata ufficialmente nell'ottobre del 2013 nodo italiano dell'Open Data Institute. Non si tratta di una volontà di replicare il modello, The Odi è anche un incubatore, ma di recepire istanze da applicare proficuamente anche sul nostro territorio. Anche la Commissione europea ci punta, supportando acceleratori Future Internet, come ad esempio, Finodex. Circa 4,5 milioni di euro sono disponibili per progetti di imprese, valutati anche per il riuso di dati pubblici. Un segnale interessante se pensiamo all'ultima sezione di data.gov negli Stati Uniti: impact, dove trovate in dettaglio tutte le aziende che hanno fatto uso di dataset rilasciati dal governo americano. Una svolta intrigante oppure una semplice operazione per giustificare la sostenibilità delle iniziative open data?
Joel Gurin co-fondatore di The GovLab presso la New York University insieme a Beth Noveck, ex consulente di Obama durante il lancio di data.gov, nel suo libro «Open Data Now», è convinto fortemente delle opportunità economiche legate a open data. Investigandone l'impatto, con Open data 500, studio promosso e diretto da lui stesso, mira a offrire a economisti e ricercatori una base informativa accurata per una stima sul reale valore economico di open data. #OD500 è il primo studio sulle imprese americane che usano dati aperti. Nella survey condotta su 500 aziende figurano società di consulenza, compagnie assicurative, perfino Linkedin, che riusa i dati del dipartimento del Lavoro. Open data 500 utilizza un'open data user base sviluppata da Deloitte e parte da 5 archetipi di business: suppliers, aggregators, developers, enrichers e enablers. Gurin identifica due categorie: Better business through open data, dove ribadisce una visione in cui grazie agli open data, migliorano i servizi per i consumatori. Un esempio: la gestione efficiente dei consumi energetici.
In contrasto, ci sono altre opportunità che Gurin definisce Open Data Pure Plays: aziende che semplicemente non esisterebbero senza open data. Queste includono startup che hanno rivoluzionato l'agricoltura attraverso l'uso dei dati meteo (Climate Corporation, recentemente acquisita da Monsanto), aziende che sfruttano il meccanismo del dual licensing come OpenCorporates, il più grande database di dati delle imprese. Gurin, a dispetto di tutto si esprime anche su una questione delicata, le rivelazioni di Edward Snowden e l'affaire Nsa: non possono definirsi open data, per essere davvero open dovrebbero essere rilasciati da qualcuno che ha la titolarità per farlo.
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