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Questo articolo è stato pubblicato il 03 novembre 2014 alle ore 10:11.

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Dal primo giugno scorso, cioè da quando la sentenza della Corte di giustizia europea sul diritto all'oblio è diventata esecutiva, i motori di ricerca hanno messo a disposizione degli utenti i moduli per richiedere la rimozione di link che contengono informazioni personali «inadeguate o non rilevanti». Il risultato è stato devastante: Google e gli altri (come Bing e Yahoo) sono stati subissati da richieste. Oggi, a cinque mesi esatti di distanza, il tema del diritto all'oblio è quanto mai vivo. Se ne continua a discutere a più livelli, e con posizioni ancora contrastanti. Anche perché la materia è di quelle complesse, destinata a oscillare perennemente fra il diritto di cronaca e la tutela della privacy. In questi primi 150 giorni Google (Microsoft e Yahoo non diffondono i loro dati) ha aggiornato con una certa costanza la pagina dedicata al «Rapporto sulla trasparenza». Le cifre diffuse martedì scorso danno l'esatta dimensione del mostro. In cinque mesi Big G ha esaminato un totale di 524.159 url, a fronte di 157.255 richieste ricevute. Il numero non combacia perché nel form di richiesta è possibile inserire più url relativi alla stessa notizia. Rispetto ai link presi in esame risalta anche un altro dato: la “giuria” di Google si è espressa solo su 449mila url (il resto è ancora sotto esame) e ha dato l'ok alla rimozione nel 41,9% dei casi, mentre nel rimanente 58,1% le richieste sono state bocciate. I numeri si riferiscono a tutti gli Stati europei, mentre i dati sul nostro Paese ci dicono che sono 12.249 le richieste di rimozione per un totale di 42.685 link, e la percentuale delle rimozioni è decisamente più bassa della media (solo il 24,2% degli url esaminati). Cifre sicuramente inferiori rispetto a Francia e Germania, che in valori assoluti sono i Paesi con più richieste inviate. Ultima curiosità: il sito maggiormente coinvolto nella rimozione dei link è Facebook, e forse non poteva essere altrimenti.
Pasticcio normativo o corretta indicizzazione?
Se da un lato molti giuristi – come il professor Ruben Razzante della Cattolica di Milano – sostengono che il diritto all'oblio «non è l'azzeramento della memoria storica, ma una corretta indicizzazione delle notizie che vengono prodotte» (tesi per altro ribadita dallo stesso Razzante nel suo ultimo libro «Informazione: istruzioni per l'uso», edito da Cedam), dall'altro ne sta venendo fuori un pasticcio normativo tutto italiano. La Carta dei diritti di Internet, voluta dalla Presidenza della Camera e studiata da una commissione con a capo Stefano Rodotà, si occupa del diritto all'oblio al punto 10. E c'è una consultazione pubblica ancora in corso. Al Senato, invece, il tema è trattato nella legge sulla diffamazione che è a un passo dall'essere approvata. La matassa si aggroviglia, ma non ditelo a Google.

articolo pubblicato su Nova24 del 2 novembre 2014

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