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Questo articolo è stato pubblicato il 18 novembre 2014 alle ore 17:05.
L'ultima modifica è del 19 novembre 2014 alle ore 13:33.

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Emil Michael (foto Bloomberg)Emil Michael (foto Bloomberg)

Investigatori privati e un budget di un milione di dollari per creare un team dedicato e indagare nelle vite dei giornalisti scomodi. Obiettivo, metterli a tacere. Un’idea balzana, quella venuta al numero due di Uber, di cui si è parlato in una cena a New York che avrebbe dovuto restare rigorosamente off-the-record e che invece si è trasformata in un incidente diplomatico devastante per una delle aziende di maggior successo del mondo. Uber , servizio di trasporto privato gestito via app, è valutata oltre 18 miliardi di dollari mentre le ultime stime parlino di un fatturato di 10 miliardi atteso nel 2015, proprio grazie a un ritmo vertiginoso di crescita, il 300% ogni 12 mesi secondo Business Insider.

Il vicepresidente Emil Michael è stato poi costretto ad una repentina marcia indietro, con tanto di scuse, dopo che l'ideona è stata raccontata in tutto il mondo grazie a un giornalista di BuzzFeed, il capo redattore Ben Smith.

E in serata, con una lunga serie di ben 14 tweet, il ceo di Uber, Travis Kalanick, ha preso nettamente le distanze dal suo vicepresidente finito nella bufera senza tuttavia parlare apertamente di dimissioni. «I commenti di Emil sono stati terribili e non rappresentano in alcun modo la visione dell'azienda - ha scritto Kalanick - anche perché i suoi compiti nulla hanno a che vedere con la comunicazione. Ha dimostrato carenza di leadership, di umanità e totale distacco dai nostri valori. Dimostreremo di avere sani principi e rinconquisteremo la fiducia di passeggeri, conducenti e del più vasto pubblico. Credo che chi sbaglia possa imparare dai propri errori. E questo vale anche per me e per Emil». L’ultimo tweet, il secondo con il numero 13, Kalanick lo ha utilizzato per chiedere scusa a

Uber, creatura di Kalanick fortemente sponsorizzata da Google e fresca di alleanza con Spotify, è già nel mirino dei tassisti di mezzo mondo, visto che entra direttamente in concorrenza con la loro attività, ma sfugge ad ogni regolamentazione. In più, da tempo l’azienda californiana, nata soltanto 5 anni fa, è anche al centro di discussioni per la linea aggressiva che in molti casi ha deciso di adottare nei suoi rapporti con i media e con i suoi stessi concorrenti. I propositi del vicepresidente, al di là delle successive smentite, non aiutano a migliorare la situazione in una fase in cui invece servono media a favore, per la nuova campagna di raccolta fondi che Uber si appresta ad aprire e che potrebbe portare il valore in torno ai 30 miliardi.

Secondo quanto riporta BuzzFeed (tesi confermata poi da una fonte anonima a Tim Bradshaw sul Financial Times), durante la cena incriminata (alla quale erano presenti, tra gli altri, Arianna Huffington e l’attore Edward Norton) Michael ha ventilato l'ipotesi di spendere «una milionata di dollari» per ingaggiare quattro investigatori e quattro giornalisti. Una squadra per «indagare nella vita privata dei giornalisti e dei loro parenti», è il virgolettato che gli è stato attribuito. Un dossieraggio, insomma, per mettere in difficoltà chi osa scrivere di Uber in maniera poco meno che lusinghiera. Del resto per Uber non è un problema tracciare gli spostamenti dei propri clienti. Odiosa violazione della privacy (nel caso se ne faccia uso per ricattare il bersaglio) che l’azienda ha già dimostrato di poter fare in più di un’occasione, compresa la cena in questione.

Il dirigente avrebbe preso di mira soprattutto una giornalista, Sarah Lacy di PandoDaily, sito di informazione specialistica che spesso ha pubblicato articoli critici su diverse imprese del web. Questa aveva scritto di aver cancellato la app di Uber dal suo smartphone, dopo che un articolo proprio di BuzzFeed aveva riferito che il sistema sembrava collaborare con un servizio di prostituzione in Francia. E si era lamentata di problemi di sicurezza per i viaggiatori sulle auto Uber. Ne parla diffusamente Costanza Rizzacasa D’Orsogna nel blog del Corriere La Ventisettesima Ora.

Nel corso della cena Michael aveva duramente replicato affermato che era più probabile subire molestie da parte di un tassista che da parte di un conducente di Uber. Lo stesso numero due di Uber poi ha ritrattato e si è scusato di quanto affermato, puntualizzando che le sue affermazioni non riflettevano la filosofia della società. E che i contenuti delle conversazioni nella cena galeotta avrebbero dovuto restare riservati. Circostanza smentita da BuzzFeed. E però non è mancato chi come il co-fondatore dell’Huffington Post Ken Lerer ha chiesto apertamente le dimissioni o in alternativa il licenziamento di Michael.

Poi sono arrivate le scuse di Kalanick a mezzo Twitter. Ma la frittata era già fatta.

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