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Questo articolo è stato pubblicato il 16 aprile 2015 alle ore 11:40.
L'ultima modifica è del 16 aprile 2015 alle ore 11:43.

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Nokia da preda torna predatore. Dopo aver venduto a Microsoft nel 2013 la tramortita divisione cellulari che ne aveva fatto un’icona nel mondo negli anni Novanta e prima metà del Duemila, ieri ha annunciato la firma di un accordo con la rivale Alcatel-Lucent che pone le basi per la costruzione di un colosso da circa 26 miliardi di euro annui di ricavi.

Nell’ambito delle tecnologie alla base delle comunicazioni wireless, fisse e mobili, la nuova Nokia avrà sulla carta un giro d’affari maggiore del leader svedese Ericsson e dell’ex astro nascente diventato rapidamente stella Huawei.

In una nota arrivata prima dell’apertura dei mercati e nella successiva conferenza stampa l'azienda finlandese ha detto che lancerà un'offerta pubblica di scambio sui titoli di Alcatel-Lucent quotati a Parigi e New York a 0,55 azioni di nuova emissione per ciascun titolo del gruppo franco-americano. Il valore dell’operazione è di 15,6 miliardi di euro, ovvero un sovrapprezzo del 28% rispetto alla quotazione media degli ultimi 3 mesi. Dall'operazione nascerà una nuova società, Nokia Corporations, detenuta al 66,5% dagli azionisti Nokia e al 33,5% da quelli di Alcatel, con sede in Finlandia e presidente e CEO della «vecchia» Nokia e vicepresidente del Consiglio di amministrazione proveniente da Alcatel-Lucent.

L’acquisizione dovrebbe completarsi nella prima metà del 2016, dunque i tempi sono lunghi e la procedura prevede il vaglio dell’assemblea degli azionisti Nokia e altri via libera dalle autorità regolatorie. Sullo sfondo, ma neanche troppo, c’è una questione politica. Che riguarda la Francia.

Il Paese perde una presenza industriale importante e forse è anche per questo che le trattative tra le due aziende vanno avanti da almeno un anno. Ieri Hollande ha incontrato i vertiti di Nokia preoccupato per i riflessi sull’occupazione nel Paese. L’azienda si è quindi ufficialmente impegnata a mantenere una «forte presenza» in Francia, escludendo che ci possano essere tagli al personale aggiuntivi, dopo quelli già previsti dal piano di ristrutturazione che Alcatel-Lucent sta portando avanti.

I siti industriali transalpini saranno mantenuti, e il settore ricerca e sviluppo sarà ampliato, con l'assunzione di “500 ricercatori in più” nella prospettiva di “investire nella 5G”, la prossima generazione di reti di telefonia mobile. Ci sarà anche un taglio dei costi, quantificato in 900 milioni di euro entro il 2019 e indicato nei prodotti doppione, alcuni immobili e altre spese non più sostenibili.

L’operazione ha un suo senso industriale e tecnologico. Oggi la svedese Ericsson è il numero 1 nella fattura di tecnologie per le comunicazioni wireless, incluse stazioni base e antenne per la trasmissione di chiamate e dati, con una quota del 25,7% nel 2014, seguita da Huawei con il 23,2%, Nokia con il 15,8% e Alcatel con l’11,4% (Idc). Nokia, dopo il trauma della cessione dei cellulari ha guadagnato il 45% sulla Borsa di Helsinki. Ha dovuto tagliare costi e personale (tranne Huawei, nessuno è stato immune) ma è arrivata al profitto. Ora ha bisogno di Alcatel per crescere nel mercato americano e nei router IP, dove la leader è Cisco.

Alcatel-Lucent, invece, arriva da anni di lacrime e sangue dopo la fusione datata 2006. Sul fronte strategico, le opportunità della fusione nascono dal fatto che la grande mole di dati che viene prodotta e cresce ogni giorno necessita di reti ultraveloci (dopo il 4G, già si parla di 5G), servizi cloud e così via. L’unione degli sforzi riporta un gruppo europeo ai vertici di un settore, la tecnologia, ormai dominato da Corea, Cina e Stati Uniti. Nessuno dei protagonisti produce più telefoni, mentre Huawei proprio ieri ha lanciato i nuovi smar

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