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Questo articolo è stato pubblicato il 22 agosto 2015 alle ore 08:10.

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È il 26 marzo 2010 quando la Polizia, con un sintetico comunicato, dà conto del sequestro di società riconducibili a 8 componenti della criminalità organizzata romana legata alla famiglia Casamonica.

Roberto Galullo

Le società sequestrate si occupavano di parcheggi, mense e supermercati, mentre alcune cooperative avrebbero dovuto mettersi in affari per la gestione e lo smaltimento dei rifiuti in Campania.

Questa parte potrebbe definirsi routinaria – i membri dei Casamonica, tra grida, pianti, schiamazzi e insulti frequentano da decenni aule giudiziarie e carceri e sono abituati a sequestri, confische e restituzioni di beni – ma in coda a quel comunicato stampa si legge ciò che routinario non è: la forza economica criminale di questa famiglia “allargata”. «Un vero e proprio salto di qualità quello che la famiglia Casamonica ha intrapreso – si legge infatti nel testo – allacciando relazioni con le principali cosche della 'ndrangheta calabrese e della camorra campana, con un giro d’affari di circa 40 milioni all’anno».

Ecco dunque la potenza di fuoco economica e finanziaria (l’usura, non a caso, è stata la miccia che ha alimentato e tenuto vivo nei decenni il fuoco degli affari) di una famiglia che può contare su un gran numero di “addetti ai lavori”. Non solo manovalanza da strada ma – come in ogni evoluto sistema criminale che solo mafia non è – una sfilza di professionisti pronti all’uso, senza dimenticare gli stretti contatti con la politica non solo capitolina.

Proprio sull’esercito a disposizione di questa famiglia è intervenuto il presidente del Tribunale per le Misure di prevenzione di Roma, Guglielmo Muntoni. Il 3 dicembre 2014, ai curatori del Rapporto di Libera Informazione “Le mafie nel Lazio”, dichiarerà: «Si tratta di un fenomeno criminale complesso perché si tratta di un gruppo enorme composto da diverse famiglie: Casamonica, Di Silvio, Di Gugliemo, Di Rocco, Spada, Spinelli. Si tratta di famiglie tutte strettamente connesse sulla base di rapporti fra capostipiti che si sono sposati con appartenenti alle varie famiglie. Si tratta almeno di un migliaio di persone operanti illegalmente a Roma».

Roma, Lazio e Campania sono poli di attrazione irresistibili per questa famiglia che fa dei quartieri capitolini Tor Bella Monaca, Appio-Tuscolano, Cinecittà, Anagnina, Romanina, Quadraro il proprio punto di forza. Da qui però ha esteso investimenti e affari anche ai Castelli e sul litorale laziale (Grottaferrata, Albano e Ostia), oltre che nelle province di Latina, Frosinone, Napoli e Caserta dove i contatti con la camorra vanno e vengono, come del resto quelli che nel corso degli anni ha intrecciato con i ras (prima) e i reduci (poi) della Banda della Magliana.

L’attrazione fatale dei Casamonica è però la ‘ndrangheta. Sono diverse le testimonianze dei rapporti con le cosche Molè e Piromalli, quest’ultimo, economicamente, tra le più potenti d’Italia. Nel 2006 l’operazione Cent’anni di storia della Procura di Reggio Calabria evidenziò le mire (non andate a buon fine) della famiglia Casamonica sul porto di Gioia Tauro (Reggio Calabria). «Dopo quasi due anni di trattative e contatti – si legge da pagina 866 del fermo di indiziati di delitto e sequestro preventivo d'urgenza – la cooperativa All Services è saldamente entrata nella disponibilità della cordata “romana” facente capo all’imprenditore Pietro D'Ardes, il quale, legato al clan dei Casamonica di Roma, è riuscito a penetrare nell’area portuale di Gioia Tauro, avvalendosi del patto contratto con la potente famiglia mafiosa degli Alvaro e grazie al “via libera” concesso dai Piromalli. La strategia utilizzata da tale gruppo per inserirsi all’interno del porto di Gioia Tauro è stata oggetto di accurata programmazione ed ha quindi trovato esecuzione in diverse fasi. La cooperativa gioiese, l’unica, tra l’altro, che opera in diretta concorrenza con il colosso Mct nel settore del trasbordo dei containers, offrendo anche, in esclusiva, servizi di movimentazione di numerose merci, negli anni passati godeva buona salute economica, con utili di un certo rilievo. Gli interventi e le interferenze da parte del D’Ardes e dei suoi soci hanno dapprima comportato l’azzeramento societario di una cooperativa in espansione, garantendone successivamente l’acquisizione a un prezzo ben al di sotto del suo effettivo valore».

Il 10 aprile 2014 la Cassazione ha reso definitive le condanne dell’operazione, tra cui quella a 11 anni di D'Ardes che, intercettato il 20 marzo 2007, delineando relazioni, contatti e agganci, dirà a proposito del porto: «…io ho mosso gente ad alto livello...anche politico...eh...che ottengono...poiché sono legati a un discorso massonico importante... capito?».

.Guardie o ladri

robertogalullo.blog.ilsole24ore.com

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