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Questo articolo è stato pubblicato il 11 febbraio 2014 alle ore 07:33.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 12:02.

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Esistono notizie importanti in sé, per quello che svelano. E altre che lo diventano per l'uso che viene fatto di certe rivelazioni magari poco significative. I particolari diffusi da Alan Friedman sulla calda estate del 2011 appartengono senz'altro alla seconda categoria. Raccontano quello che era ben noto da tempo, ma arrivano nel pieno di una crisi inespressa.

Se si deve stare al merito della ricostruzione, Friedman con il suo libro anticipato dal "Corriere della Sera" ha aggiunto qualche pennellata al dipinto, ma non si può dire che abbia riscritto la storia recente d'Italia, come egli lascia intendere.

D el resto, basta un pizzico di memoria e un po' di attitudine alla lettura dei giornali per rammentare quale fosse il clima di quei mesi. Il problema principale era il discredito del governo Berlusconi, da cui traevano alimento quanti speculavano contro l'Italia. Per meglio dire, più il paese appariva come l'anello debole della moneta europea, più le spinte speculative si accentuavano. In quelle condizioni i contatti informali del presidente della Repubblica erano un dovere istituzionale e il nome di Mario Monti apparteneva, come si diceva una volta, alla "riserva della Repubblica". Peraltro, contatti informali non equivale a dire contatti opachi o misteriosi. I giornali dell'epoca ne parlarono e quando, verso la fine dell'anno, nacque il governo Monti nessuno mostrò sorpresa. Tanto meno Berlusconi che fece buon viso a cattivo gioco, rivendicó anzi di aver indicato lui il nome del nuovo premier e votò la fiducia al governo tecnico, reiterandola nell'arco del 2012. Dopodiché l'allora Pdl votò per la riconferma di Napolitano e aderì all'esecutivo delle larghe intese.
Questi aspetti possono apparire trascurabili ai più intransigenti fra i militanti di Forza Italia, ma di sicuro il leader li ricorda bene. Per cui sarebbe davvero molto strano se Berlusconi lasciasse crescere la marea anti-Quirinale fino al punto di accordarsi ai Cinque Stelle sostenendo la loro richiesta di "impeachement". Anche perché in questo caso l'unico risultato sarebbe una straordinaria campagna elettorale per le europee servita su un piatto d'argento a Beppe Grillo.

Tutto a posto, quindi? Nessuna conseguenza politica da quest'ultimo pseudo-scandalo? Meglio essere cauti con l'ottimismo. La paralisi del sistema è tale che la tensione da qualche parte deve trovare uno sbocco. E non è un caso che il Quirinale stia ormai attirando tutti i fulmini che non riescono a scaricarsi altrove. L'enfasi data alla ricostruzione di Friedman lo dimostra, ma non è che l'ultimo esempio. In precedenza occorrerebbe rammentare almeno le intercettazioni a margine dell'inchiesta sui rapporti Stato-mafia e le ricorrenti campagne di stampa contro "re Giorgio". Ne deriva che si sta tentando da più parti, forse riuscendovi, di indebolire Napolitano nell'intento fin troppo palese di accelerare la sua uscita dal Quirinale.
Qui è la vera insidia implicita nel libro di Friedman. Esso rivela un nervo scoperto dell'assetto politico nel nostro paese. Un assetto, è bene ricordarlo, che si regge tuttora quasi esclusivamente intorno al baricentro rappresentato dal capo dello Stato. In attesa che mettano radici le riforme immaginate da Renzi, il sistema è in una fase di transizione assai delicata. Ci vorrebbe un governo forte per reggere una pressione così schiacciante. Ma al momento non c'è e il Quirinale è esposto a tutte le polemiche. Una condizione stagnante che ormai è assai pericolosa. Ecco perché è bene che il chiarimento nella maggioranza, anzi all'interno del Pd, si svolga al più presto. I colloqui di Napolitano prima con Renzi e poi con Letta vogliono dire questo. Non è più possibile il piccolo cabotaggio ovvero il gioco delle rivalità infinite. Il Quirinale si difende dagli attacchi solo se il governo funziona.

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