Pensioni, ecco perché i precari incasseranno il 30% meno di chi ha un lavoro continuativo
Le rendite pensionistiche sono parametrate ai contributi versati. Per questo chi avrà minore continuità lavorativa va incontro a pensioni decisamente inferiori a quelle che potrà incassare chi svolge un'attività senza buchi contributivi. L'elaborazione, messa a punto dal professor Vincenzo Galasso, sarà presentata oggi in occasione degli Stati Generali delle Pensioni, organizzata dall'Università Bocconi e da Deutsche Bank. Vediamo alcuni casi concreti.
di Marco lo Conte
4. Pensioni precarie / I "perm" in fase di bassa crescita
L'effetto bassa crescita persa anche su chi ha una carriera continuativa: ad eguali condizioni il tasso di sostituzione dei lavoratori "permanenti" o "perm", in caso di Pil medio all'1% cala al 79%, fino a 1263 euro al mese, anche in questo caso del 30% circa in meno rispetto al reddito del lavoratore meno "fortunato". L'elaborazione del prof. Galasso non ha certo intenti predittivi né di esaustività scientifica, quanto di mostrare l'impatto delle condizioni del sistema contributivo e delle singole scelte sulle rendite pensionistiche finali. Per esempio, un pensionamento anticipato a 60 anni, per ciascuno dei quattro casi presi in esame finora, rappresenta una riduzione drastica delle rendite pensionistiche: dal 20 ai 25 punti percentuali di tasso di sostituzione. La pensione di un ex precario che si ritira 60 anni (o quanto meno accumula contributi netti come per arrivare a quell'età) - con un tasso di sostituzione del 53% per 675 euro mensili, nel caso in esame - risulta meno della metà della pensione di chi ha avuto la possibilità di lavorare senza buchi contributivi e fino a 67 anni, avviandosi cioè a incassare il 93% dell'ultimo stipendio, 1497 euro mensili. Una pensione che sicuramente non è d'oro, ma che tale appare, se affiancata con quella di un precario.
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