Pensioni, ecco perché i precari incasseranno il 30% meno di chi ha un lavoro continuativo
Le rendite pensionistiche sono parametrate ai contributi versati. Per questo chi avrà minore continuità lavorativa va incontro a pensioni decisamente inferiori a quelle che potrà incassare chi svolge un'attività senza buchi contributivi. L'elaborazione, messa a punto dal professor Vincenzo Galasso, sarà presentata oggi in occasione degli Stati Generali delle Pensioni, organizzata dall'Università Bocconi e da Deutsche Bank. Vediamo alcuni casi concreti.
di Marco lo Conte
1. Pensioni precarie / I "temp" in fase di crescita modesta
(Corbis)
La stima messa a punto si riferisce alla situazione contributiva di un lavoratore che ad inizio carriera ha contratti da co.co.pro. (dai 25 ai 28 anni), successivamente si trova nella condizione di disoccupazione per alcuni anni (il 29esimo e il 32esimo), mentre per altri 3 anni lavora con contratto a termine (dai 33 ai 35), per poi essere assunto a tempo indeterminato fino alla pensione. Un caso tipizzato di ingresso lento ma non troppo ritardato in una condizione di assunzione "piena", quello preso in esame dal professor Galasso dell'Università Bocconi di Milano; differente evidentemente da quello di molte altre tipologie di "precari", ma indicativo dell'impatto che la discontinuità contributiva provoca. In caso di crescita del prodotto interno lordo dell'1,5% (la media geometrica quinquennale del Pil nominale è il moltiplicatore dei contributi previdenziali versati), il nostro ex precario andrà in pensione con l'82% dell'ultimo stipendio; che sale all'88% se il pensionamento viene posticipato ai 67 anni. Ovviamente più alta sarà 'età pensionistica e maggiore sarà la rendita. Invece, in caso di carriere ancora più discontinue e accidentate, il risultato pensionistico non potrà che essere peggiore.
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