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Meno tasse, pensioni da rivedere, stop alle grandi riforme: i Beatles furono i liberisti degli anni Sessanta

Cinquant'anni fa i Beatles presero gli Usa, passaggio fondamentale per la successiva conquista – musicale, culturale e di costume – dell'intero pianeta. Il 9 febbraio del 1964 apparvero per la prima volta al popolarissimo Ed Sullivan Show: l'America si fermò, cosa che era accaduta soltanto per l'omicidio di Jfk pochi mesi prima e si sarebbe verificata ancora, cinque anni più tardi, con l'allunaggio

2. Beatles economisti / «Taxman»: Se si alzano le tasse, il gettito scende

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La prima freccia che Irwin scocca per avvalorare la sua tesi è quella della leva fiscale. Cita il brano «Taxman» di George Harrison che apriva l'album «Revolver» del 1966 e ne deduce una presa di posizione «meno Stato, più individuo» da parte dei quattro. «Se guidi un'auto, tasserò la strada/ Se provi a sederti, tasserò il tuo sedile/ Se hai freddo, tasserò il calore/ Se fai una passeggiata, tasserò i tuoi piedi», canta George nei panni di un esattore. Era uno sfogo: cittadini del Regno, i giovani Fab Four si ritrovarono milionari da un giorno all'altro, con un'imposizione sui redditi – quella prevista dai governi laburisti del dopoguerra – che saliva fino al 95 per cento. Per mettersi a riparo dalla tassazione eccessiva trasformarono i redditi in plusvalenze che, all'epoca, in Inghilterra erano tassate al 30 per cento. Fondarono così la «limited company» Northern Songs Ltd. intestandole i diritti sul loro songbook. Con buona pace degli esattori di Sua Maestà. Per Irwin tutto ciò rappresenta una dimostrazione pratica della teoria della curva di Laffer, elaborata nel 1980: esiste un livello di prelievo fiscale oltre il quale l'attività economica non è più conveniente e il gettito si azzera. E i Beatles, anche in questo caso, avrebbero anticipato di buoni vent'anni il resto del mondo.

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