Come sa chi ama la montagna, esistono nell'alpinismo regole non scritte che vincolano i componenti di una cordata ben più di ogni legge. E che impongono il soccorso di chi scivola, anche se per imperizia o leggerezza, visto che solo un immediato sforzo congiunto può salvare da una catena di sciagure.
Sorprende un po' come, nelle analisi degli ultimi giorni sulle tensioni generate nell'eurozona dal debito di Grecia, Spagna e Portogallo, molti commentatori abbiano omesso di prendere atto di quel vincolo non scritto che lega, più di una corda a doppia mandata, i 16 partecipanti alla moneta europea. Ma al tempo stesso obbliga a negare formalmente l'esistenza di un vero e proprio euro-piano di salvataggio per due motivi sostanziali: non si deve allentare la pressione politica sui governi di quei paesi esposti che devono varare dolorosi piani di austerità e non si può dare il pretesto alle forze speculative sui mercati di testare l'entità degli interventi di soccorso, come accade nello Sme del '92.
Le norme formali dei Trattati Ue impongono la clausola di «no bail out», ovvero che ogni governo europeo sia responsabile del proprio debito e nessun altro se lo possa accollare. Le regole sostanziali non scritte fanno sì, tuttavia, che gli stessi paesi dell'eurozona, in primis la Germania che undici anni fa accettò di rinunciare al roccioso deutschmark in nome del progetto di moneta unica, non possano lasciare che un compagno di cordata come la Grecia finisca nell'abisso di un default e magari trascini la più pesante Spagna e poi qualcun altro ancora, facendo perdere credibilità anche alla moneta nei portafogli dei berlinesi. Ma si può davvero pensare che quei 53-55 miliardi necessari per rifinanziare il debito greco quest'anno valgano il caos di un euro in frantumi?
Tra l'altro, il Trattato di Lisbona offre un appiglio con quell'articolo 122 che permette agli stati europei, dopo raccomandazione della Commissione, di garantire aiuto a un paese se «confrontato da circostanze eccezionali al di fuori del proprio controllo». Ma si tratta di un estremo freno di emergenza che nessuno azionerà al summit Ue di domani, anche perché non si vuole etichettare il debito greco o spagnolo come incontrollabile. Pertanto le soluzioni più indolori e logiche che si vanno delineando sono un piano di anticipi sui pagamenti dei fondi strutturali e prestiti bilaterali da parte di altri Paesi Ue. E le indiscrezioni provenienti ieri da Berlino su crediti di questo tipo hanno subito contribuito a ridurre i divari sui rendimenti del debito sovrano nell'eurozona. Possibili anche prestiti Bei, eventualmente finanziati da eurobond ad hoc. Il tutto vincolato al controllo di un piano di precisi impegni sul contenimento della spesa pubblica da parte di Atene. Membri fuori dall'euro come Londra e Stoccolma tuttora invocano un intervento del Fmi, temendo forse di esser lasciati ancor più ai margini di una zona euro più coesa, impegnata in un'operazione di salvataggio. Ma l'ipotesi appare remota, visto che a prospettarla è proprio chi molto tempo fa decise di non unirsi alla cordata.

 

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