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Questo articolo è stato pubblicato il 17 gennaio 2013 alle ore 07:00.

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Batti e ribatti sui nudi sacrifici degli altri, sull'algido rigore senza paracadute e prima o poi incassi l'effetto boomerang. Inevitabile. Nell'Europa integrata, sia pure in modo imperfetto, non c'è solo la moneta unica a scandire ritmi e oneri dell'interdipendenza: ci sono anche il mercato unico e i flussi commerciali. E la crescita economica.

Così anche il disastro Sud-Sud, intrappolato in una pesante recessione, finisce per diventare contagioso. Ora comincia a sfiorare le virtuose sponde del Nord, i binari su cui corre la locomotiva tedesca. Costretta per di più a fronteggiare contemporaneamente la frenata del commercio mondiale schiacciato dal rallentamento economico di Stati Uniti e Cina.
I dati in arrivo da Berlino sono inequivocabili: l'espansione del Pil quest'anno non supererà lo 0,4%, contro l'1% originariamente previsto: sarà cioè quasi la metà di quella, peraltro già non brillante, messa a segno nel 2012 (+0,7%) e meno di un settimo del 3% toccato nel 2011. L'export crescerà del 2,8% contro il 4,1% dell'anno precedente, la disoccupazione salirà dal 6,8% al 7%, la dinamica salariale si stabilizzerà sul 2,6%. A tirare l'economia non sarà il commercio estero ma essenzialmente la domanda interna.

Non basta. In novembre gli ordini all'industria sono calati dell'1,8%, le esportazioni sono crollate del 3,4%, la più pesante contrazione in 12 mesi. Nell'ultimo trimestre 2012 il Pil sarebbe sceso dello 0,5% rispetto ai tre mesi precedenti. Nessun Paese è un'isola in Europa, neanche la Germania che pure è la sua economia più globalizzata ma tuttora dirige il grosso delle sue esportazioni nel Vecchio continente.
La prospettiva dell'ingolfamento del motore tedesco in un'Unione già in pesante affanno e in un panorama economico mondiale poco incoraggiante rappresenta una pessima notizia per tutti. Non a caso ieri la Borsa tedesca ha ceduto terreno. Non a caso ieri Jean-Claude Juncker, il presidente dell'Eurogruppo, per la prima volta dopo mesi, ha parlato di «un euro pericolosamente alto» che rappresenta una minaccia per l'economia europea.

Si prepara dietro l'angolo una nuova guerra valutaria su scala mondiale? Forse. Di sicuro la guerra, intra-Ue e non, per la crescita europea è in corso da mesi. Finora senza risultati.
Il piano Ue da poco più di 120 miliardi, lanciato con la grancassa nel giugno scorso, si è rivelato un buco nell'acqua. Né ci si poteva aspettare di più da un'operazione cosmetica, essenzialmente limitata a riorientare sulla carta fondi esistenti, poco o per nulla utilizzati. E che tali sono rimasti.
Impossibile, allora, superare il veto di Angela Merkel e il dogma del suo ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble: «Una politica di sviluppo sarà possibile solo con conti pubblici sostenibili, per questo insistiamo sempre sulla riduzione del debito». Corollario: la crescita potrà essere solo di matrice nazionale, non europea, e solo per i Paesi che tra risanamento e riforme, si saranno guadagnati gli spazi per realizzarla in proprio.
Da allora l'indigestione di austerità a senso unico imposta all'euro-sud ha dimostrato tutti i suoi limiti: non è servita a frenare l'ascesa dei debiti ma ha finito per incoraggiarla attraverso la recessione che ha alimentato. Né le crescenti tensioni sociali e intra-europee né le critiche aperte di Fmi e Ocse né le pressioni dell'America di Barack Obama sono finora riuscite a indurre la Germania a qualche ripensamento.

Ci riuscirà ora il rischio-recessione dentro le mura di casa a pochi mesi dalle legislative di settembre che la Merkel vuole vincere a tutti i costi? Se i sondaggi non dessero il cancelliere con il vento in poppa si potrebbe sperare in qualche ammorbidimento. Anche perché c'è una certa calma sui mercati, ormai convinti che l'euro non si sfascerà e che soltanto una solida crescita economica potrà garantire la stabile discesa dei debiti.
La Merkel però ha la maggioranza dei tedeschi dalla sua proprio perché ha imposto all'Eurozona una politica rigorista senza scampo. Oggi per lei una svolta sarebbe politicamente disastrosa e incomprensibile per i cittadini tedeschi che non hanno sentito la crisi. Al contrario la Germania è il Paese-rifugio per chi in Europa insegue disperatamente il lavoro.
Ci vorranno mesi prima che i sintomi recessivi comincino a mordere in casa. Il cancelliere farà in tempo, salvo imponderabili incidenti di percorso, a ottenere un terzo mandato e poi decidere che cosa fare. In Germania e in Europa. Nel frattempo l'unica boccata di ossigeno per la crescita europea potrebbe arrivare da un euro un po' più debole. Magari con la scusa degli incerti elettorali in Italia. Sempre ammesso che l'America di Obama in difficoltà sia disposta ad accettare un dollaro più tonico dell'attuale.

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