Parla il nuovo amministratore delegato Andrea Morante. Dopo un cambio di management e i morsi della crisi, l'azienda di gioielli milanese guarda al mercato globale per tornare a crescere


Cinque mosse per affrontare la crisi dei consumi che colpisce il settore del lusso e della gioielleria almeno quanto il resto del made in Italy.
È la strategia messa a punto da Pomellato, marchio storico dell'oreficeria che si confronta, in Europa, con concorrenti del calibro di Cartier, Chopard, Bulgari e Tiffany. Un modello di ri-partenza aziendale voluto dal socio fondatore Pino Rabolini e progettato insieme ad un ex banchiere d'affari, oggi manager e azionista di minoranza, che con l'azienda milanese ricomincia a suo modo, dopo quindici anni vissuti ai vertici di Credit Suisse First Boston e in prima linea nelle principali operazioni di privatizzazione italiane.
Il "matrimonio" tra Andrea Morante e Pino Rabolini, e quindi Pomellato, si celebra nell'anno della crisi globale. A fine 2008 il banchiere d'affari, romano di nascita ma londinese di adozione, si dimette da Csfb, dove ormai da qualche anno ha lasciato i ruoli operativi per assumere quello di senior advisor. Tra le operazioni che ha gestito, ricorda la quotazione dell'Eni nel '95 ("forse la più importante e ben riuscita privatizzazione italiana"); l'ingresso di Csfb nel nocciolo duro di Telecom Italia e poi un ruolo molto attivo nel tentativo di resistere – a fianco di Franco Bernabè – all'opa di Roberto Colaninno; l'acquisizione della Sme (Gs e Autogrill) da parte dei Benetton, che ha trasformato Edizioni Holding; la quotazione di Monte dei Paschi di Siena (la più antica banca del mondo e l'ultima a sbarcare in Borsa). Nell'elenco noi aggiungiamo la privatizzazione dell'Imi e la successiva fusione con San Paolo, oltre alla vendita di Mediocredito centrale a Banca di Roma.

Il cambio di management e il rinnovato impegno dei soci
Finita l'era delle grandi operazioni finanziarie, Morante ha passato gli ultimi anni in Csfb a setacciare l'universo delle imprese italiane e ha trovato in Pomellato un'azienda con grande potenziale. Il settore dei beni di lusso, poi, è un suo vecchio pallino, da quando nel 1990 aveva assistito il fondo di private equity Investcorp nell'acquisizione di Gucci, azienda che poi aveva seguito fino al passaggio in Csfb. "E' una partita che oggi mi ri-gioco", spiega mentre nel quartier generale milanese mostra, con un misto di orgoglio e ammirazione, il laboratorio e i gli orafi al lavoro su preziosi il cui valore finale in qualche caso è di alcune decine di migliaia di euro. A fine 2008 acquisisce da Pino Rabolini il 5% della RA.MO che, a sua volta, detiene il controllo di maggioranza di Pomellato/DoDo. Nell'autunno scorso avviene il cambio al vertice Pomellato analogo a quello della svizzera Richemont. Andrea Morante è il nuovo amministratore delegato.

La crisi e la rinuncia agli incentivi
La crisi non è stata del tutto indolore: "L'azienda comunque continua a essere profittevole e a generare cassa ma nel 2009 il fatturato è sceso del 14% rispetto all'anno precedente, attestandosi a 104 milioni di euro, e il margine operativo lordo è passato al 15% dal 20% dell'anno precedente". Una situazione che ha richiesto sacrifici a tutti, dipendenti e dirigenti: gli incentivi non sono stati pagati e le buste paga si sono ridotte, ma nessuno dei 400 dipendenti, dirigenti compresi, ha perso il lavoro. Decisione, questa, che Morante indica come la seconda mossa per il rilancio.
"Proprio in una situazione di mercato problematica e con le nubi ancora all'orizzonte – afferma l'ormai ex banchiere d'affari – abbiamo rilanciato – ed ecco la terza mossa - scegliendo una politica di espansione internazionale e di rinnovato impegno degli azionisti".
Il nuovo assetto azionario e il cambio di management, dunque, è dunque solo il primo passo della strategia per reagire alla crisi e ripartire. "Dopo anni di vacche grasse e di soldi relativamente facili – osserva Morante - è arrivata una bella doccia fredda sui consumi mondiali cogliendo quasi tutti di sorpresa. Il quesito che tutti si pongono adesso è: quando torneranno i bei tempi? Quando riprenderà il vento favorevole della domanda globale? La risposta è duplice: ci vorrà del tempo e, in ogni caso, la domanda non sarà più la stessa. Si sta già evolvendo. Su questo processo, secondo noi, bisogna riflettere".

Il prodotto e il concetto di value for money
Con la crisi, dunque, è cambiata la propensione all'acquisto di gioielli. Nei mercati più maturi – è l'analisi di Pomellato - il consumatore tenderà sempre di più a rimandare gli acquisti più importanti e appariscenti, lasciandosi guidare da maggior senso di responsabilità e sobrietà. Sarà meno impulsivo e meno condizionato da pagine di pubblicità in cui l'erotismo si confonde con il prodotto, sarà più attento alla coerenza e al "DNA" del marchio che acquista. Pretenderà un rapporto più razionale fra prezzo e contenuto (il concetto del "value for money"). Dal punto di vista geografico, a spingere i consumi sarà soprattutto la Cina, insieme agli altri BRICS, mentre Usa e Giappone continueranno a essere mercati depressi e in Europa regnerà l'incertezza.
"Alla luce di quest'analisi – spiega Morante – abbiamo smesso di parlare genericamente di beni di lusso e abbiamo cominciato a parlare di Pomellato, di contenuti e di prodotti ben caratterizzati nello stile e nel marchio, che possano essere riconosciuti a distanza come gioielli Pomellato. Quindi abbiamo rischiato investendo in un prodotto nuovo, gli anelli e gli orecchini M'ama non M'ama, presentati in Italia in una campagna televisiva con Tilda Swinton come attrice, dove prevalgono arte, estetica e serietà rispetto al classico utilizzo della donna come oggetto".

L'espansione internazionale
I gioielli non basta realizzarli, bisogna anche venderli. Perciò la "nuova" Pomellato ha dato una forte accelerazione a due canali distributivi che, per motivi diversi, considera centrali nella propria strategia: l'internazionale, con flagship store nelle grandi città in giro per il mondo, e Internet. "Partiamo dal primo" spiega Morante. "Pomellato e Dodo nel 2008 avevano in Europa l'8,8% del mercato dei gioielli, orologi esclusi, la stessa quota di Bulgari e dietro solo a Cartier e Chopard. Una posizione di forza alla quale però non corrisponde un'analoga presenza nel resto del mondo: siamo in sostanza inesistenti negli Stati Uniti e in Asia. Ciò può essere considerata una debolezza, noi invece la vediamo come un'opportunità: perciò abbiamo costituito Pomellato China in società con due imprenditrici cinesi che hanno il 20%. L'obiettivo di aprire in tre anni nove negozi, 2 o 3 con il marchio Pomellato e gli altri Dodo. Rispetto ai concorrenti, in Cina siamo in forte ritardo ma vogliamo recuperare".
In Pomellato, spiega Morante, è stato molto apprezzata (e se ne è cominciato a discutere con i soci cinesi) l'iniziativa di Hermes che nelle scorse settimane ha annunciato un nuovo marchio dedicato al mercato cinese. "Globalizzare senza spostare la produzione: un modello di business destinato a crescere".
In Giappone i due marchi sono già noti e disponibili in alcuni department stores, ma siamo alla ricerca di un nuovo punto vendita strategico. "E' vero che l'economia giapponese è stagnante, ma è vero anche che a Tokyo c'è un reddito procapite molto alto ed il consumatore giapponese è molto sofisticato".

Il canale Internet e i gruppi Facebook
Quanto a Internet, "i gioiellieri in genere ne hanno paura perché sono tradizionalisti. Noi invece siamo obbligati a esserci perché siamo "trend setter". Su Facebook, Dodo ha raccolto in poche settimane più di 30mila fan, ai quali si aggiungono i 5mila registrati sul sito ufficiale della società. "Una sorta di focus group con cui stiamo cominciando a dialogare, sulle idee, sui nuovi prodotti che in futuro potrebbero nascere direttamente dalla creatività della rete e non più solo dai nostri creativi. Per San Valentino abbiamo lanciato un'iniziativa esclusiva per questi fan. Ma è solo l'inizio".

GALLERY / I gioielli Pomellato

 

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