Il nuovo testo rafforza il principio che la parità di trattamento e di opportunità fra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compresi quelli dell'occupazione, del lavoro e della retribuzione, accompagnandolo con sanzioni più severe. In caso di condanna per comportamenti discriminatori, l'inottemperanza al decreto del giudice del lavoro non sarà più punita, dunque, in base all'articolo 650 del Codice penale, per «inosservanza del provvedimento dell'autorità», bensì con l'ammenda fino a 50mila euro o con l'arresto fino a sei mesi.
Al Codice delle pari opportunità è aggiunto l'articolo 41-bis che assicura la tutela giurisdizionale alla «vittimizzazione», ossia ai comportamenti messi in atto contro una persona che si è attivata per ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento fra uomini e donne.
Aumentano anche le sanzioni amministrative per la violazione ai divieti di discriminazione in materia di formazione, accesso al lavoro, trattamento retributivo.
Il nuovo articolo 28 del Dlgs 198/06 vieta qualsiasi discriminazione diretta o indiretta, su qualunque aspetto o condizione delle retribuzioni per quanto riguarda uno stesso lavoro o un lavoro a cui è attribuito un valore uguale.
Al fine dell'applicazione del principio di parità in materia di occupazione e impiego è considerata discriminazione diretta tutto ciò che comporta, per ragioni riconducibili al sesso, un trattamento meno favorevole rispetto a quello di un'altra persona in situazione analoga. Si ha discriminazione indiretta, invece, quando una persona è messa in condizioni di svantaggio rispetto ad altra di sesso diverso, da norme, prassi, criteri, atti o comportamenti, apparentemente neutri.
Con l'aggiunta all'articolo 25 del Dlgs 198/06 del comma 2-bis, è definito discriminazione, ai fini della tutela in esame, ogni trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell'esercizio dei relativi diritti.
In linea con il diritto comunitario, che vieta formalità o adempimenti che costituiscano discriminazione di genere, è abrogato il comma 2 dell'articolo 30 del Dlgs 198/06 che, nel disciplinare il divieto di discriminazioni dell'accesso alle prestazioni professionali, poneva alle lavoratrici che intendessero proseguire l'attività lavorativa oltre l'età per il pensionamento di vecchiaia (60 anni), l'obbligo di comunicarlo al datore di lavoro almeno tre mesi prima della maturazione del diritto (onere già dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale, si veda «Il Sole 24 Ore» del 30 ottobre 2009).
Con l'entrata in vigore del Dlgs 5/2010, il 20 febbraio prossimo, le lavoratrici in possesso dei requisiti per la pensione di vecchiaia hanno semplicemente il diritto di proseguire il rapporto di lavoro fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini (65 anni).
Significativo anche il passaggio dal proposito di eliminare ogni distinzione di genere che potesse limitare o compromettere l'esercizio dei diritti e delle libertà fondamentali che connotava l'articolo 1 del Dlgs 198/06, all'affermazione di principio del nuovo testo: la formulazione di qualsivoglia legge, regolamento, atto amministrativo, politica o attività deve tenere presente l'obiettivo della parità di trattamento e di opportunità fra donne e uomini.
Oltre che costituirsi in giudizio contro l'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori diretti o indiretti di carattere collettivo, le consigliere o i consiglieri di parità provinciali e regionali possono ricorrere innanzi al tribunale in funzione di giudice del lavoro o, per i rapporti sottoposti alla sua giurisdizione, al tribunale amministrativo regionale territorialmente competenti, su delega della persona che ha interesse, o possono intervenire nei giudizi da questa promossi.
Cambia infine la composizione del Comitato nazionale per l'attuazione dei principi di parità, istituito presso il ministero del Lavoro.
LE NOVITÀ IN NOVE PASSI
1. PENSIONE DI VECCHIAIA
Le lavoratrici con requisiti per la pensione di vecchiaia (60 anni) hanno diritto a proseguire il lavoro fino all'età prevista per gli uomini (65 anni). Eliminato l'obbligo della comunicazione preventiva al datore di lavoro tre mesi prima del pensionamento previsto
2. RETRIBUZIONE
Divieto di discriminazione per lo stesso lavoro o per lavoro al quale è attribuito un valore uguale.
Significa, in pratica, parità di condizioni, mansioni, luogo di lavoro, retribuzione, eccetera
3. DISPARITÀ DI TRATTAMENTO
La disparità di trattamento verso i dipendenti, uomini o donne, può costare al datore l'ammenda fino a 50mila euro e l'arresto fino a sei mesi. Prima la sanzione pecuniaria arrivava a un massimo di 206 euro, l'arresto non oltre i tre mesi
4. INOSSERVANZA
Le attuali sanzioni amministrative, che vanno da 103 a 516 euro, saranno aumentate da un minimo 250 euro a un massimo di 1.500 euro
5. ADOZIONI INTERNAZIONALI
Il divieto di licenziamento scatta dalla comunicazione della proposta di adozione o dalla comunicazione dell'invito a recarsi all'estero per ricevere la proposta di abbinamento. Il divieto dura poi fino a un anno dall'ingresso del minore nel nucleo familiare
6. CONTRATTI COLLETTIVI
Possono stabilire misure specifiche (codici di condotta, linee guida e buone prassi) per giocare d'anticipo sulle discriminazioni sessuali
7. PENSIONI COMPLEMENTARI
Vietata qualunque forma di discriminazione nelle forme pensionistiche complementari, sulle regole di accesso, sui contributi e sulle prestazioni. Alla Covip il potere di verificare i dati attuali dei Fondi pensione che giustificano eventuali deroghe
8. ORGANISMI DI PARITÀ
Passa da 5 a 6 il numero dei componenti designati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro nel comitato nazionale presso il ministero del Lavoro
9. AGGIORNAMENTO
Vietata qualunque forma di discriminazione tra sessi in materia di aggiornamento professionale e di progressione di carriera dei lavoratori
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