Uno strano mix che lo avrebbe portato, il 23 aprile del 1955, in un discorso ai lavoratori, a formulare alcune domande, probabilmente ancora oggi rimaste inevase: «Può l'industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell'indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica?».
I suoi 59 anni, conclusisi il 27 febbraio del 1960, ovvero mezzo secolo fa, su un treno che da Milano portava a Losanna, sono stati paradigmatici del secolo scorso, ma hanno rappresentato bene la contraddizione che egli ha incarnato per la cultura, la vita pubblica e l'industria del nostro paese.
Suo padre Camillo, che aveva fondato l'azienda a Ivrea nel 1908, era un ingegnere allievo di Galileo Ferraris e aveva idee socialiste. Anche l'ingegner Adriano era permeato dal rigore positivista del Politecnico di Torino e nutriva interesse per il socialismo. Un episodio spiega bene quanto questa posizione, nei tempi duri del fascismo, non fosse escl

In lui, un altro elemento coerente con cosa è stato il Novecento per noi è l'amore verso l'America: come già capitato in gioventù a suo padre, e anche a molti altri rampolli del capitalismo nascente (per esempio Gianni Agnelli), si reca a venticinque anni negli Stati Uniti dove resta affascinato dal fordismo, tanto che convincerà gradualmente il vecchio Camillo a riorganizzare l'impresa di Ivrea, ormai una realtà nella produzione di macchine da scrivere e da calcolo, secondo i criteri tayloristici del "tempi e metodi".
Dunque, nel suo profilo ci sono la cultura positivista, l'industrialismo fordista, il sottofondo socialista (pur temperato dalla conoscenza di Piero Gobetti) e l'America, tanta America. Tutta roba del Novecento. Anche se Adriano, alla fine della seconda guerra mondiale, scarta all'improvviso di lato. Il socialismo non basta. Come non bastano il pensiero liberale o per lui, ebreo da parte di padre e valdese da parte della madre Luisa, una interpretazione religiosa unitaria del mondo. Inizia infatti a elaborare una visione originale che condensa nell'Ordine politico delle comunità: una miscela di utopia e federalismo, autonomie locali e democrazia diretta. Una impostazione ignorata dalla politica italiana uscita dal fascismo, ma che avrebbe dato origine, al rientro a Ivrea, al movimento Comunità.
Sì, perché c'è un ritorno a Ivrea. Camillo è morto nel 1943. L'azienda, adesso, la guida lui. La crescita, dal 1946 al 1958, è significativa. Posto un indice iniziale pari a 100, l'esportazione sale a 1.787, il fatturato interno a 600, l'occupazione a 258, i salari reali medi a 386 punti. L'Olivetti è una multinazionale: in dodici anni le consociate estere salgono da quattro a diciannove. Cinque gli stabilimenti in Italia, altrettanti all'estero. Per ottenere questi risultati, Adriano Olivetti moltiplica i prodotti meccanici (la Divisumma costa 35mila lire e viene venduta a 350mila lire),

Fra il 1958 e il 1960 succede tutto, nell'accavallarsi di dimensioni diverse che caratterizza costantemente la sua vita. Nel 1958 partecipa, con il movimento di Comunità fattosi partito, alle elezioni politiche nazionali: si dissangua finanziariamente e viene eletto solo lui. Nel 1959 esce sul mercato il calcolatore elettronico Elea 9003. Nello stesso anno, compra la Underwood, compiendo la prima acquisizione italiana negli Stati Uniti (dovrà arrivare, a condizioni storiche completamente diverse, Sergio Marchionne con Fiat-Chrysler).
Il nodo, che si reciderà l'anno dopo con la sua morte, si aggroviglia proprio in quel 1959: l'impresa, che soffre di una sottocapitalizzazione strutturale tipica del capitalismo italiano, non ha la forza finanziaria per sostenere la doppia operazione. La crisi si avvita: a tre anni dalla sua morte, nel 1963, il patrimonio netto (61,8 miliardi di lire) è la metà dei debiti (118,5 miliardi di lire) e il gruppo sta per finire in mano a un pool di banche svizzere, che potrebbe escutere le azioni della famiglia avute in pegno in cambio di prestiti.
Il gruppo di intervento organizzato da Mediobanca, che non poteva fare a meno della Fiat come partner industriale, salverà una impresa ricca di prodotti, competenze, estetica e cultura internazionale, ma povera di capitali e molto indebitata. Le posizioni del presidente della Fiat Vittorio Valletta (per cui l'elettronica di Ivrea era un «neo da estirpare») e di Enrico Cuccia (convinto soprattutto della centralità della chimica per lo sviluppo italiano), con un mitizzato e fantomatico favore americano all'uscita dall'elettronica, fanno sì che, alla fine, si sacrifichi quest'ultima, ceduta alla General Electric, e si conservi la presenza negli Stati Uniti.
L'anomalia naturale, il progetto interrotto dalla morte, l'unicità in fondo della sconfitta e il seme che, quando tutto sembrava finito con Adriano scomparso e la grande elettronica venduta, nel 1965 avrebbe comunque generato la Programma 101, il primo personal computer da tavolo. È in questo modo che si forma una specie di icona del capitalismo diverso, un uomo così descritto da Natalia Ginzburg in Lessico famigliare: «Lo incontrai a Roma per la strada, un giorno, durante l'occupazione tedesca. Era a piedi; andava solo, con il suo passo randagio; gli occhi perduti nei suoi sogni perenni, che li velavano di nebbie azzurre. Era vestito come tutti gli altri, ma sembrava, nella folla, un mendicante; e sembrava, nel tempo stesso, anche un re. Un re in esilio, sembrava».
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