Gli operatori guardano sempre meno alle agenzie di rating e monitorano le polizze sui possibili default. Ma questi derivati, negli Usa, per il 96% sono in mano a cinque banche e sono scambiati su piattaforme poco trasparenti

«Il mercato spesso anticipa le agenzie di rating che, nei periodi più bui della crisi, non hanno dato grande prova di tempestività». È questo il leit motive che spesso rimbalza nelle sale operative delle investment bank quando si parla del debito sovrano. Un leit motive che fa sorgere immediatemente una domanda: ma allora, attraverso quali strumenti gli analisti (il mercato) monitorano il debito degli stati?

I differenziali sulle emissionio sovrane
La risposta è complessa. In generale, però, sono due gli elementi cui gli operatori guardano, almeno in prima battuta. Da un lato, lo sguardo si posa sui differenziali tra i rendimenti di obbligazioni simili (decennali) emessi da paesi differenti, tenendo come benchmark il bond dello stato considerato più "virtuoso". In Europa questa funzione è svolta dalla Germania e dal suo TBund decennale. Se il rendimento (il reddito prodotto da un investimento espresso in percentuale del capitale investito) del bond non tedesco è maggiore, cioè c'è una differenza tra lo yield dell'emissione di Berlino e quella dell'altro stato, significa che gli operatori si fidano poco e comprano di meno il titolo dell'altro stato. Giocoforza, quest'ultimo deve pagare di più per piazzare i suoi prestiti durante le aste o sul mercato secondario: il rendimento che incassa il creditore è il prezzo per il rischio.

I Cds tra speculazione e opacità
Ma non è solo questione di differenziali: ormai si fa sempre più riferimento ai Credit default swap (Cds). Questi sono dei contratti con cui un soggetto terzo assume il rischio, dietro un pagamento da parte dell'emittente, dell'eventuale insolvenza dell'emittente stesso: spesso si parla di una polizza per il bond. Se la loro quotazione sale, vuol dire che il premio della polizza sale e, quindi, che il mercato prezza un maggiore rischio sull'insolvenza; se, viceversa, le loro quotazioni scendono, allora il rischio di default diminuisce. Questi Cds, fino all'altro ieri, erano conosciuti solo da pochi esperti. Adesso non passa giorno che giornali e divulgatori li utilizzino come indizi sullo stato del merito di credito di un paese. Dimenticando, però, una cosa: come tutti i derivati sono soggetti a speculazioni o a bolle.

Certo, la loro utilità non è irrilevante. Ma il loro "messaggio" deve essere maneggiato con cura, soprattutto perché sono trattati sui mercati Over the counter, cioè mercati opachi. In tal senso è interessante notare che al 30 settembre 2009, negli Stati Uniti, il 96% dei contratti swap (in cui sono ricompresi i Cds) era intermediato (come fa peraltro notare il blog IcebergFinanza) da solo cinque banche: JpMorgan, Bank of America, Goldman Sachs, Morgan Stanley e Citigroup. Il dato, pubblicato dall'Office of the comptroller of the currency, è riferito ad un valore nominale di oltre 172 triliardi di dollari. Una cifra incredibile che, se ovviamente nulla dice rispetto all'operatività di queste banche, la pulce nell'orecchio sulla possibilità di trading con i Cds la mettono. Insomma, di recente si è parlato della possibilità che sui Cds siano state svolte operazioni speculative, assolutamente lecite per carità, ma con la conseguenza che le loro quotazioni siano diventate meno attendibili.

«In effetti - dice Sergio Pigoli, di Pigoli consulenza - si tratta di derivati, scambiati su piattaforme che richiederebbero più trasparenza, oggetto di attività di trading da parte degli istituti finanziari. I quali, se pensano che la quotazione dello swap possa salire, comprano grandi spezzature del contratto. Quest'ultimo, che già cresce sull'onda delle cattive notizie sullo di salute del debito sovrano, avrà l'ulteriore spinta dall'attività d'acquisto». Togliendo così, quel valore di prova "certa" sulla situazione del debito dello stato. «Inoltre - dice Pigoli- non va dimenticato un altro aspetto». Vale a dire? «Proprio la concentrazione in poche mani dei contratti swap espone questi istituti ad un grande rischio: l'eventuale insolvelza degli emittenti che provocherebbe danni non da poco ai bilanci. Insomma, la riforma di questo settore della finanza, tanto evocata dallo stesso Paul Volcker, è necessaria». E forse, i cds dovrebbero essre meno considerati la pietra filosofase che tutto dice sul debito sovrano degli stati.

vittorio.carlini@ilsole24ore.com

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