«La nostra strategia commerciale non cambia, la cessione delle tre pipeline è dolorosa, ma si tratta di una piccola cosa che non tocca la strategia Eni nel settore gas che si fonda sui diritti di trasporto». Questo il giudizio a caldo dell'amministratore delegato dell'Eni Paolo Scaroni dopo le dismissioni concordate con l'Antitrust dell'Unione europea. Titolo in calo in Borsa, con cali prossimi al 2 per cento.

L'Eni dismetterà le sue partecipazioni azionarie in tre infrastrutture internazionali di trasporto di gas naturale, i gasdotti Tag (Trans-Austria Gas), Tenp e Transitgas con l'accordo dell'Antitrust europeo. La Commissione Ue ha accolto «gli impegni di rimedi strutturali» presentati dal Cane a sei zampe «che rispondono alle preoccupazioni espresse in merito alla modalità di gestione e l'operatività delle infrastrutture di trasporto di gas naturale da parte di Eni». L'intesa è stata ufficializzata al termine di un incontro tra la commissaria Neelie Kroes e Scaroni. La decisione finale sarà presa dall'Antitrust Ue prima di Pasqua. Il timore di Bruxelles era quello di «un abuso di posizione dominante in violazione alle regole europee sulla di concorrenza».

Eni, previo il consenso dei rispettivi partner, si impegna alla dismissione delle partecipazioni detenute nel gasdotto tedesco Tenp e in quello svizzero Transitgas. Per quanto riguarda il gasdotto Tag - che trasporta il gas russo (il 30% delle nostre forniture) in Italia dalla frontiera fra Slovacchia e Austria via Tarvisio - Eni, in virtù della valenza strategica dell'infrastruttura, ha negoziato con la Commissione una soluzione che prevede il trasferimento della relativa partecipazione a un soggetto controllato dallo Stato italiano. Lo stesso Scaroni ha anticipato che la quota Tag sarà ceduta alla Cassa depositi e prestiti.

L'ad dell'Eni ha precisato che «vista la correlazione fra la Cassa depositi e prestiti e l'Eni, dovremo procedere all'operazione nel modo più trasparente possibile». Proprio il fatto che questo particolare gasdotto resterà nelle mani dello Stato, ha aggiunto, rispetta le indicazioni del premier, Silvio Berlusconi, che in una lettera inviata alla Commissione europea, ne sottolineava il carattere strategico per l'Italia.

Nessuna decisione è stata ancora presa sul possibile utilizzo delle risorse derivanti dalla vendita dei tre gasdotti, valore 1,5 miliardi di cui 800 milioni solo per il Tag. «Questi soldi - ha spiegato Scaroni - non hanno un'influenza significativa sul nostro bilancio. Noi investiamo 13 miliardi di euro ogni anno solo in capex. Non abbiamo alcun piano per questi soldi».

Eni, ha poi concluso il top manager, non firmerà altri contratti in Iran, come annunciato da Berlusconi durante il suo viaggio in Israele. «Eni - ha ricordato Scaroni - ha firmato due contratti in Iran nel 2000 e nel 2001 per lo sviluppo di due giacimenti. Al tempo il Paese non era nel mirino di paesi europei in termini di sanzioni. Siccome crediamo che i contratti sono sacri porteremo questi contratti a termine. Dal 2001 non firmiamo nuovi contratti e non ne firmeremo altri in futuro». Ancora sul fronte estero nel caso in cui il governo ugandese dovesse appoggiare il diritto di prelazione di Tullow Oil sui pozzi messi in vendita da Heritage, Eni sposterebbe le proprie risorse verso Iraq e Venezuela.

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Il settore del gas in Italia è ancora caratterizzato da bassi livelli di concorrenza e, a dieci anni dall'apertura dei mercati, l'operatore dominante, Eni, rappresenta ancora il 70% del mercato e, la dotazione infrastrutturale del Paese resta insufficiente. È il quadro tracciato dall'Autorità per l'energia, guidata da Alessandro Ortis, nella Relazione annuale al Parlamento sullo stato del mercato dell'elettricità elettrica e del gas naturale. Per ridurre le criticità nel settore del gas, l'Autorità torna a ribadire quelli che sono gli interventi «possibili e necessari» per migliorare l'efficienza e la competitività e chiede una maggiore gas release, un'urgente separazione proprietaria delle attività della rete di trasporto e delle attività di stoccaggio, inasprimento del tetto antitrust alle importazioni dal 61% al 50 per cento.

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