Non facile capire se la proposta lanciata dal ministro finanze tedesco Wolfgang Schäuble e dal cancelliere Angela Merkel di creare un Fondo monetario europeo, servirà a ridare vigore al corso anemico dell'integrazione comunitaria e a rafforzare il progetto di moneta unica con un vero braccio finanziario per interventi macro-economici; o si rivelerà un semplice ballon d'essai, ispirato a un tatticismo nazionale, destinato ad arenarsi nei negoziati multilaterali. Arduo fare previsioni sulla base di un progetto dai contorni ancora sfumati e della cacofonia di voci che si sono appena espresse («a volte persino con due diverse idee da uno stesso Governo» si è rammaricato il presidente della Commissione, José Manuel Barroso).
La Merkel e il presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker hanno ribadito che dovrà essere un'«ultima spiaggia», per impedire in maniera ordinata il default di uno stato, senza indebolire il Patto di Stabilità. Nella realtà, l'idea di Fme nasce dall'inadeguatezza di un Patto nato, proprio a causa del rigore tedesco del tempo, con un apparato di sanzioni di fatto inattuabili nei confronti di un paese che sfondi i parametri di Maastricht, ma senza un adeguato strumento di "sostegno condizionato" (tipo Fmi) per aiutare un paese in difficoltà a uscire dalla crisi. Il caso Grecia, con il premier George Papandreou più propenso ad accettare le condizioni dell'Fmi di quelle più rigorose imposte delle banche tedesche, ha messo a nudo in modo impietoso l'inadeguatezza degli strumenti dell'Eurozona.
La Merkel ha preso la palla al balzo e lanciato un progetto che si candida comunque a essere centrale nell'agenda europea dei prossimi due anni. Inevitabile che, come ha osservato il ministro francese dell'economia Christine Lagarde, non si tratti di una priorità nel breve termine, ma di un piano da esplorare nel lungo periodo. Uno strumento che quasi certamente (salvo acrobazie legali e un'improbabile cooperazione rafforzata tra i paesi dell'Eurozona) imporrà una revisione dei Trattati e perciò complessi negoziati a 27, con l'assenso dei paesi non aderenti all'euro, Gran Bretagna in primis. Trattative che dovranno anche affrontare il problema delle risorse da conferire al fondo, intrecciandosi con il già complesso dibattito sulle prospettive finanziare Ue 2014-2020.
Come può la Merkel lanciarsi in una partita di tale portata, quando autorevoli voci di dissenso si levano anche in casa propria, per bocca prima del consigliere del comitato esecutivo Bce, Jürgen Stark, e poi del presidente della Bundesbank, Axel Weber? Il ventriloquismo tedesco ha varie spiegazioni. Prima di tutto riflette quello che il Financial Times ha definito l'atteggiamento di «costruttiva ambiguità» dei policymakers dell'Eurozona, che devono formalmente negare la possibilità di interventi, per mantenere alta la pressione sul governo greco, ma al tempo stesso rassicurare i mercati su una solidarietà di fatto dei 16 paesi dell'euro. Secondo: le frasi di Weber (come ai tempi della dichiarata avversione di Hans Tietmayer all'entrata della lira nella prima tornata di partecipanti all'euro) riflettono il ruolo della Bundesbank/Bce di custode del rigore monetario e di portavoce della maggioranza della popolazione tedesca, contraria all'ipotesi di salvataggi di "paesi cicale" finanziati da Berlino.
Una fermezza che Weber, candidato alla presidenza della Bce in contrapposizione a Mario Draghi, esibisce forse con ancor più ostentazione per guadagnare terreno nella corsa alla poltrona più importante dell'Eurotower di Francoforte. Resta da vedere se, come ai tempi del decollo dell'euro, l'ostinazione della Bundesbank servirà semplicemente al cancelliere ad alzare la posta al tavolo europeo, ma poi si piegherà di fronte a un disegno politico travolgente come il corso del Reno, o se le tante opinioni discordanti, in Germania e fuori, confineranno il progetto di Fme, come quello di Costituzione europea, in un triste fossato di rimpianti.
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