Torna alla ribalta sui siti web della stampa estera la polemica sulla libertà di Internet, dopo la pubblicazione delle motivazioni della sentenza con cui lo scorso 24 febbraio il giudice di Milano Oscar Magi aveva condannato tre dirigenti di Google. Il caso riguarda il video, caricato sul motore di ricerca, che mostrava un ragazzo disabile malmenato dai compagni di classe.

Colpisce gli americani il dito puntato sul profitto: "Giudice italiano cita il profitto come giustificazione della condanna di Google", titola il New York Times. I tre dirigenti sono stati condannati per violazione delle leggi sulla privacy "perché la società Internet aveva cercato di trarre profitto dal video", scrive Elisabetta Povoledo.

Il verdetto – puntualizza il Nyt – era il primo a giudicare i dipendenti della società penalmente responsabili per i contenuti caricati sul suo sistema. Il quotidiano Usa ricorda l'indignazione dell'ambasciatore americano in Italia e le accuse alla magistratura italiana di volere mettere il bavaglio a Internet.

Ma nelle 111 pagine di motivazioni il giudice ha detto che "Internet non è una prateria sconfinata dove tutto è permesso e niente può essere vietato".

In Italia – spiega Povoledo - i dirigenti aziendali sono ritenuti legalmente responsabili delle azioni della società. I tre esponenti di Google sono stati condannati a sei mesi con sospensione condizionale della pena, ma assolti dalle accuse di diffamazione.

Il filmato in questione, caricato su Google Video nel settembre 2006, fu visto oltre 5.500 volte in due mesi arrivando in cima alla lista dei "più divertenti" video di Google Italia. Google lo rimosse "prontamente" dopo la notifica delle autorità.

"Il giudice Magi – fa notare Povoledo – non ha detto che Google deve monitorare tutti i contenuti caricati sulla sua piattaforma, ma ha suggerito che la società potrebbe essere più vigile. Ha anche detto che Google ha l'obbligo di chiarire le politiche europee sulla privacy alle parti terze che utilizzano la piattaforma". Quando il video fu messo online, quelle politiche erano così poco conosciute da essere, secondo Magi, "inefficaci".

Google – continua il Nyt - ha contestato il ragionamento di Magi, ribadendo che il verdetto "attacca i principi stessi su cui Internet è costruita" e ripetendo che farà ricorso. La sentenza sostiene che Google ha violato le norme sulla privacy. L'Italia – spiega – proibisce l'uso di informazioni personali con l'intento di nuocere o ottenere un profitto".

Il New York Times sottolinea poi le perplessità di alcuni esperti di Internet In particolare, cita Juan Carlos de Martin, fondatore del Centro Nexa al Politecnico di Torino: a suo parere, la sentenza getterebbe molte organizzazioni nel limbo legale, in attesa dell'esito dei ricorsi. "L'incertezza giuridica potrebbe scoraggiare il business e le iniziative sociali. Nessuno vuole essere criminalizzato per quello che ospita online".

Il profitto è anche nel titolo di un lancio Ap ripreso, tra gli altri, dal sito del Chicago Tribune. Il fine di profitto ha contribuito alla decisione di colpevolezza dei tre dirigenti Google. Secondo Magi, spiega l'Ap, i dipendenti di Google sono responsabili poiché il motore di ricerca intendeva trarre profitto dalla vendita di pubblicità sul sito dove era pubblicato il video. "In parole semplici – scrive magi - la scritta sul muro non costituisce reato per il proprietario del muro. Ma il suo sfruttamento commerciale può esserlo".

Le motivazioni della condanna di Google trovano spazio anche sui siti spagnoli, dove l'enfasi è sul fatto che su Internet non tutto è lecito. El Mundo riprende un'Efe: "Il giudice italiano che condannò Google assicura che sulla Rete non tutto vale". El Pais titola: "Niente al di fuori della legge può stare sul web". Citatissima la frase di Magi secondo cui non esiste la sconfinata prateria di Internet.

El Pais conclude con un breve ritratto del giudice, definito "magistrato progressista, colto e molto lavoratore". Lettore di Oscar Wilde, fu giudice istruttore al maxiprocesso di Mani Pulite e da 32 anni milita in Magistratura Democratica, "spesso identificata in Italia con le ‘toghe rosse' che hanno fatto disperare Silvio Berlusconi".

«Non esiste la prateria web dove tutto è permesso», ecco la sentenza contro Google
Il testo della sentenza / 1
Il testo della sentenza / 2
Tre dirigenti Google condannati

 

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