I leader delle "camicie rosse" hanno annunciato la resa alle autorità thailandesi, dopo che l'esercito ha dato l'assalto al quartiere di Bangkok in cui si trovano asserragliati i fedeli dell'ex premier Thaksin Shinawatra. Contro quest'ultimo e altre nove persone la Corte criminale ha spiccato, secondo il quotidiano The Nation, un mandato di cattura per terrorismo.

I capi dell'opposizione hanno inoltre chiesto ai manifestanti di disperdersi pacificamente, al fine di prevenire altre morti. Sette dei leader dei manifestanti si sono radunati sul palco posto nel centro della zona dove erano in corso le proteste per annuciare la loro decisione, accolta tra l'altro da urla di disappunto: «Abbiamo fatto del nostro meglio, vogliamo prevenire ulteriori perdite umane», hanno detto ai militanti.

Nel discorso pronunciato dopo essersi consegnato alla polizia, il leader delle camicie rosse Nattawut Saikua ha esortato il resto dei manifestanti a dirigersi verso il National Stadium, all'esterno dell'accampamento, e lasciare che la polizia si occupi di loro. «Non preoccupatevi, tutti andranno a casa in condizioni sicure. Non perderemo la nostra libertà per un tempo lungo», ha detto Nattawut.

Sono almeno quattro i capi dei ribelli che si sono consegnati alle forze dell'ordine. Ma non tutte le camicie rosse hanno intenzione di seguire l'indicazione dei leader. Nonostante la resa annunciata, infatti, hanno attaccato la sede di un'emittente televisiva, la Borsa di Bangkok e alcuni centri commerciali.

Per il proseguire delle violenze è stato imposto, dalle 15 (le 20 ora locale), il coprifuoco in 23 province. Secondo fonti dei vigili del fuoco sono almeno una ventina gli edifici incendiati dai manifestanti.

Nei violenti scontri in corso a Bangkok sono rimaste uccise nella mattinata di oggi almeno sei persone, fra le quali anche un fotoreporter italiano, mentre si registrano anche numerosi altri feriti (tra cui un giornalista olandese). Secondo la testimonianza degli inviati delle agenzie Associated Press e France Presse, presenti sul luogo degli scontri, l'esercito thailandese avrebbe sparato su tre giornalisti stranieri, uno dei quali è morto.

Il giornalista ucciso è l'italiano Fabio Polenghi, 45 anni, colpito all'addome e deceduto prima di essere trasportato all'ospedale nei pressi della zona rossa della capitale thailandese. La Farnesina, dopo l'iniziale prudenza, ha confermato la morte del fotoreporter italiano, pur senza farne il nome.

I violenti scontri tra esercito regolare e gli oppositori sono iniziati all'alba quando le forze militari hanno deciso di rompere gli indugi ed attaccare i dimostranti nella cosiddetta "zona rossa", occupata da diverse settimane. Dopo l'annuncio da parte del governo che ogni negoziato era ormai interrotto, l'esercito ha fatto irruzione con i blindati attraverso le barricate delle camicie rosse aprendo il fuoco in tutte le direzioni. Imbracciando i fucili d'assalto M-16 un centinaio di poliziotti si è fatto strada gridando ai manifestanti rifugiati nelle tende di uscire e arrendersi, pena la morte.

Gli ultimi sei giorni di violenze sono costati la vita a 39 persone, in gran parte civili. Dall'inizio della protesta, il 12 marzo scorso, il bilancio è di 68 morti e oltre 1.700 feriti. Le camicie rosse sono un movimento per lo più di contadini e di emarginati delle aree urbane che sostiene Thaksin Shinawatra, il controverso leader populista deposto da un golpe nel 2006 e che vive in esilio per sottrarsi al carcere dopo una condanna per corruzione.

VIDEO / Le immagini di Fabio Polenghi ucciso negli scontri a Bangkok
RITRATTO / Morire per una fotografia. Chi era Fabio Polenghi (di Marco Barbonaglia)
FOTO / Un servizio fotografico dalla Cambogia di Polenghi
Linea Cubana / Il documentario su Cuba di Fabio Polenghi
AUDIO / La testimonianza di Marco Masciaga dalla zona rossa di Bangkok FOTO / L'ultimo attacco alle camicie rosse
Il governo rifiuta la tregua dei ribelli
Thaksin il miliardario che gestisce la rivolta

 

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