Amo la bicicletta. Sono cresciuto con i ritagli di giornale dei giri d'Italia vinti da Bertoglio e Battaglin. Da ragazzo per un breve periodo ho praticato anche il ciclismo agonistico con risultati non eccelsi. Ma mi è rimasta una passionaccia per le due ruote. Ricordo che negli anni Settanta, da bambino, mi allenavo con altri bambini più volte a settimana su strada, senza paura. I caschetti non li indossavamo. Allora erano morbidi. Non proteggevano granché. Ce li facevano indossare solo alla domenica quando c'erano le gare.

Lo scorso anno mia moglie in un impeto di giovanilismo ha deciso di regalarmi, finalmente, una nuova bici da corsa. Dopo 30 anni la mia vecchia Colnago, tubi Columbus, gruppo super record Campagnolo, una fuoriserie dei tempi di Saronni - oggi poco più di un cancello - finalmente è andata in pensione. La nuova bici non è niente di che: è una Bianchi in alluminio. Ma è nuova, ha i cambi integrati al manubrio, 10 velocità. E' decisamente un'altra cosa. Anche se so che gli appassionati cicloturisti ormai non salgono sulla bici se non hanno sotto il sedere un monoscocca in carbonio o robe del genere da 5-7mila euro. A me basta la Bianchi. Ho cominciato da allora a venire di tanto in tanto al lavoro in bici: vivo a 30 chilometri da Milano, in un paesino lungo il Naviglio. Il viaggio è sicuro perché per gran parte del tragitto pedalo lungo la ciclabile che costeggia la linea d'acqua, il canale disegnato da Leonardo. C'è solo un piccolo pezzo di pochi chilometri che devo fare su strada per arrivare dalle porte della metropoli fino in via Monte Rosa, dove c'è la redazione centrale del Sole 24 Ore. Ebbene: da bambino giravo senza casco, senza paura e senza pericoli. Ma le automobili in circolazione erano molte meno. Ora ho il terrore di pedalare su una strada dove transitano macchine, camion, furgoni, motorini, anche per pochi chilometri… Le strade non sono più quelle degli anni Settanta: il numero di automobili circolanti si è decuplicato. Nella sola Milano ogni giorno si calcola entrino 700mila veicoli, provenienti dall'hinterland e dalla Lombardia. Per questo motivo uso il casco. Lo uso sempre. Non solo. Uso anche delle fasce catarifrangenti d'inverno, oltre a diverse luci dietro, davanti e di lato, per rendermi visibile quando c'è poca luce.


Perché bisogna usare il casco? Semplice per evitare, in caso di cadute, la possibilità spaccarsi la testa. Trauma cranico, lo chiamano i medici. Il casco non protegge in assoluto. Ci si può ammazzare lo stesso in bici, che ne so, se si viene travolti da un'auto in corsa o se si investe il cane. Ma si limita il richio. Sono certo che il numero di incidenti mortali sulle due ruote potrebbe diminuire se tutti, ma proprio tutti, come capita nei paesi del Nord Europa, lo usassero non come un accessorio ma come qualcosa che parte dell'attrezzatura indispensabile per andare in bici. Ben venga quindi l'obbligo di indossare il casco. E' importante sceglierlo bene il casco, però. Quelli da corsa sono più leggeri, aerodinamici e costosi. Quelli da tutti i giorni sono forse meno belli ma proteggono lo stesso, a patto che vengano indossati correttamente e aderiscano bene alla testa, senza linee innaturali. Il cinturino deve essere facile da chiudere e da aprire, ma non troppo, per evitare che si slacci da solo. Una cosa importante è badare ci siano le certificazioni. Se il casco è omologato sull´etichetta dietro le fibbie di allaccio ci deve essere una E, oppure le scritte Cspc o Snell che sono due sigle di omologazione. Significa che il vostro casco è testato: c'è posto per mettere gli occhiali, la vista frontale o laterale non è ostacolata, sono state superate le prove di resistenza in condizioni di stress meccanico o di urto. Ma il casco comunque non basta. Sulla bici si è come un acrobata su un filo. Occhio e attenzione sempre! Dopodiché, godetevi la pedalata.

 

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