Sono un cicloturista e non per caso. Amo le due ruote. Spesso con gli amici mi vanto, tra le altre cose, di aver fatto il giro dei "mitici" quattro passi dolomitici (Gardena, Campolongo, Pordoi e Sella) senza mettere il piede a terra. Ovviamente durante la salita. Certo, poi, lo ammetto: lungo i tornanti del Pordoi ho vergognosamente "zigzagato" e, sullo strappo che porta a scollinare l'asperità del Sella, credo di aver visto la "Madonna"...ma forse era un turista che mi incitava a "crederci": «Vaii, ce la puoi fare!».

In quei momenti desideravo di tutto: la "bomba" di Fantozzi; un bel letto dove sprofondare e, come sa chi è aduso ai sellini da ciclista, un posto soffice dove poggiare le terga. Ma c'era una cosa che desideravo più di tutte: gettare via il casco che avevo in testa. Mi opprimeva, era in quel momento una sorta di "cilicio" della sicurezza. E sì, perché il casco io lo uso: è per me una sorta di coperta di Linus. Che, però, come ogni "coperta" deve restare personale, una scelta individuale. Se uno vuol sentirsi più sicuro lo indossi, altrimenti niente.

L'idea di renderlo obbligatorio, invece, mi sembra l'ennesima voglia del legislatore di intrufolarsi nella libertà di ciascuno di noi; l'espressione di uno stato-chioccia che ci considera un po' bambini e che, poi, su temi ben più importanti opta per il "liberi-tutti".

L'idea del ciclista casco-munito-per-obbligo, insomma, non mi va giù. Dubito della sua reale utilità. Certo, in una leggera caduta può servire; certo, i professionisti, dopo la tragica morte di Casartelli, si sono decisi ad indossarlo. Ma, almeno quelli attualmente in commercio, a fronte di un vero colpo possono ben poco. Ci vorrebbero "copricapo integrali", come quelli dei centauri a motore...ma, poi, sai che apnea. Un'asfissia assicurata, con le gambe che diventano di legno e il rischio di essere venduto come tonno "nel mercato del pesce". Un calvario, assolutamente inutile.

E poi, mi chiedo: perché pensare alla sicurezza sempre e solamente nel caso singolo, dell'eventuale caduta? Penso male, faccio peccato se rispondo perchè è, per esempio, più facile che costruire piste ciclabili nelle città? Quella sì che sarebbe una vera forma di "protezione" per l'amante delle due ruote: poter avere percorsi cittadini dove pedalare senza il rischio di essere arrotati dall'automobilista di turno. Ma realizzare circuiti per le due ruote presuppone organizzazione vera; programmazione nei piani regolatori che, invece, sono sempre più ad uso e consumo del mattone, a scapito della vivibilità del cittadino. Anche perché si tratta di temi che, forse, non hanno un ritorno così immediato in termini di elettorato.

Di più: si pensa alla salute dei ciclisti. Va bene, ok, tutto giusto. Ma perchè uno stato non interviene con più durezza sul fronte del doping? Sento già il mormorio: ma che c'entra il doping, qui si tratta di educare a una maggiore sicurezza il bipede a due ruote, senza motore! E invece c'entra: anche nel mondo del cicloturismo, proprio per l'eccessivo lassez faire sul fronte delle sostenze proibite tra i profesionisti, l'assunzione di sostante "non salutari" è molto più diffuso di quanto si pensi. Altro che casco: bisognerebbe spingere per una cultura dell'andare in bici senza far uso di sostanze proibite. Lì si che l'intrusione dello stato è salutare. Non sul casco.

Il casco chi vuole lo mette; chi invece non vuole deve poterlo fare. Senza timori. Senza il rischio di vedersi fermare da un vigile che ti appioppa una multa. Un'altra voce di ingresso per casse comunali sempre più asfittiche. Un'altra voce di ingresso per le casse delle società di settore, pronte a produrre migliaia e migliaia di caschi in più.

 

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