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E' la vittoria della volontà e del gruppo |
di Mattia Losi |
L’Italia batte la Germania, in Germania, nello stadio dove i tedeschi non avevano mai perso, raggiungendo per prima il diritto di giocarsi, il prossimo 9 luglio, il titolo di Campione del mondo. Da ieri sera gli uomini di Messico ’70, entrati nella leggenda per un 4-3 che fa parte della storia del calcio, sono un po’ meno soli. E sperano di poter essere meno soli, dopo la finale di Berlino, anche gli eroi di Spagna ’82. Gli accostamenti storici, nello sport, sono un esercizio inutile: Cannavaro come Gentile, Grosso come Facchetti, Totti come Mazzola e Rivera, Gattuso come Tardelli? Almeno per una volta non cediamo a questi facili giochetti da bar: Cannavaro è Cannavaro, Grosso è Grosso, Gattuso è Gattuso. Totti, almeno finora, non è ancora stato Totti, ma resta ancora una partita da giocare, la più importante.
Se proprio vogliamo tentare un accostamento tra le Nazionali del 1970, del 1982 e del 2006 il punto di contatto lo troviamo nel gruppo, nella volontà, nel cuore. Lippi sapeva che per tentare di vincere il mondiale avrebbe dovuto portare un gruppo, e non un elenco di singoli: l’ha fatto. Sapeva che avrebbe dovuto portare la squadra al massimo della forma fisica nelle partite decisive: l’ha fatto, aiutato anche da un calendario che ci ha messo di fronte la prima vera grande rivale solo in semifinale. Ma era una rivale chiamata Germania: una nazionale che giocando in casa diventa quasi insuperabile.
La partita di ieri ci dice che la forma fisica è ormai ottimale: i nostri giocatori hanno corso per 120 minuti, non hanno mai avuto passaggi a vuoto (come i 10 minuti iniziali del secondo tempo contro l’Ucraina), hanno fatto la differenza contro una squadra fisica come quella tedesca proprio negli ultimi minuti del secondo supplementare. E ci sono riusciti perché, in piena forma fisica, ci sono giocatori qualitativamente migliori dei tedeschi.
Adesso non bisogna commettere l’errore di pensare che i nostri siano i più forti in assoluto. Il valore di un giocatore non si giudica sulla base delle poche partite di un mondiale: Ronaldinho resta Ronaldhino; Figo e Zidane, anche se vecchi, continuano a fare paura. Ma quello che ci interessa non è un’intera carriera, non è quello che i nostri possono fare nell’arco di un anno: ci interessa quello che possono fare e che stanno facendo adesso. Perché questo è il mondiale: 7 partite, per chi arriva a giocarle tutte, e solo le ultime 4 davvero decisive. Lippi l’ha capito e ha portato i suoi a giocarsi al meglio proprio quelle 4 gare decisive.
Due ultimi pensieri: uno per Del Piero, che alla sua 20esima presenza in nazionale tra mondiali ed europei ha finalmente regalato uno sprazzo di quella classe che nessuno, a livello di club, poteva mettere in discussione. Il suo non è stato il gol decisivo, perché la partita era stata ormai chiusa dalla rete di Grosso, ma è stato comunque un tassello importante in un carriera che adesso, anche con la maglia azzurra, potrà avere un sapore più dolce. Il suo bilancio nelle fasi finali di mondiali ed europei resta ancora deficitario, ma gli auguriamo di cuore di poterlo migliorare a Berlino, domenica prossima.
Il secondo pensiero è per tutti quelli che, a fine partita, si sono affrettati a ipotizzare una sanatoria per le società coinvolte nel processo di Roma: vergogna, vergogna, vergogna. Il giocatore che più di tutti sta buttando l’anima in questo mondiale, Rino Gattuso, l’ha già detto chiaramente: chi ha sbagliato paghi, noi sul campo siamo un’altra cosa.
Ripeto forte: vergogna, vergogna, vergogna. Due cose ci restano ben chiare dopo la partita di ieri: il cuore dei nostri giocatori e l’azzurro delle loro maglie che ha unito i mille colori del tifo di tutti i giorni. Non sporchiamoli con le tristezze di un processo che ognugno di noi, per 120 minuti, ha felicemente dimenticato.
5 luglio 2006
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