Se mai verrà stilata una classifica mondiale dei presidenti più osservati, analizzati e giudicati durante l'esercizio del mandato, il primo posto spetterà senza dubbio a Barack Obama.
Dai circoli di Washington alle fabbriche di Bangalore, in villaggi africani e nelle città d'arte europee, è facile ipotizzare che non esiste persona - osservatore politico o cantante folk - che non si sia sentita, almeno per un giorno, watchdog, "cane da guardia", del presidente degli Stati Uniti d'America.
La rivista Foreign Policy di Moises Naim e il Sole 24 Ore danno oggi i voti a Obama: dodici mesi dall'inizio del sogno, dieci dalla partenza del governo, messi sotto esame da «blogger, sapientoni ed esperti di politica internazionale». Si va da giudizi molto negativi - come nel caso di Michael Scheuer, ex capo della Cia, secondo cui Obama «favorisce lo status quo della fallita politica estera bipartisan» - a promozioni cum laude: Lawrence J. Korb, senior fellow al Center for American Progress vede sulla strada della risoluzione i conflitti in Afghanistan e in Iraq.
Il risultato è una promozione senza corsi di recupero. Il presidente si porta a casa una media del sei e mezzo. Non male, se non fosse che dopo i primi 100 giorni, la commissione d'esame aveva licenziato il candidato con 7 e mezzo. Da quel generoso aprile a oggi, gli interventi non sempre efficaci per la crisi, il dossier Iran, il percorso a ostacoli della riforma sanitaria, la guerra in Afghanistan e la pace armata in Iraq, hanno reso sempre più complicato «Being Barack Obama».
Fallimento o vittoria, nel passaggio dalle (enormi) aspettative ai (pochi) fatti quella che non si è persa è la straordinaria capacità comunicativa di un uomo che ha cambiato l'immagine degli Usa nel mondo. Se dunque l'elezione di Obama, come tutti i sogni di eguaglianza e democrazia, vale dieci, la piena sufficienza non è un risultato deludente ma, ancora una volta, un segnale di incoraggiamento: continui a studiare Mr. President!