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Economia Gli economisti

Debito, di chi la colpa? Della spesa che non c'è

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Questo articolo è stato pubblicato il 22 maggio 2010 alle ore 08:12.

Il 14 maggio, il dipartimento per gli Affari di bilancio dell'Fmi ha pubblicato un nuovo rapporto che punta ad aiutare i paesi a fronteggiare i previsti problemi di bilancio. Il documento segnala un deterioramento delle prospettive finanziarie per i paesi sviluppati. Tutti o quasi tutti quelli che commenteranno o citeranno questo rapporto probabilmente lo interpreteranno come una storia di prodigalità punita, ma se si allarga lo sguardo la faccenda appare in un'altra luce. Il rapporto ci rivela che la crisi finanziaria ci ha resi stabilmente più poveri e i governi adesso devono stringere la cinghia per compensare le entrate perse.

L'Fmi ci dice non soltanto che i paesi del primo mondo sono fortemente indebitati a causa della crisi, ma (cosa ben più importante) che emergeranno dalla crisi con nuovi, forti deficit strutturali. Sul loro futuro incombono tagli alla spesa e aumenti delle tasse.
Ma la domanda che nessuno fa e a cui nessuno risponde è questa: da dove vengono questi deficit strutturali? Sicuramente non vengono dagli interessi sul debito: il rapporto del Fondo mostra un forte incremento del disavanzo strutturale primario (cioè sottratti gli interessi). È dovuto a incrementi permanenti della spesa pubblica? Non proprio: il rapporto dimostra che anche durante la crisi economica del 2008-2009, gli incrementi di spesa discrezionali hanno rappresentato una causa trascurabile di aumento del deficit. E inoltre, questi incrementi di spesa sono destinati a esaurirsi pian piano quando le nazioni ritireranno le misure di stimolo.
Solo una lettura attenta consente di capire che cosa sta succedendo veramente: «Il persistere di disavanzi riflette un calo permanente delle entrate, dovuto in primo luogo alla forte riduzione del Pil potenziale determinata dalla crisi, ma anche all'impatto di una diminuzione dei prezzi delle attività e dei profitti del settore finanziario». Aha!
È possibile che una crisi finanziaria deprima a questo modo la crescita economica? Questo è quanto dicono apparentemente le analisi statistiche che accompagnano il rapporto, ma è in contraddizione con i modelli di crescita consueti. Consideriamo tuttavia anche quest'altro punto: se le crisi finanziarie sono veramente tanto dannose, il vero messaggio in questo caso non è una raccomandazione ai governi di rispondere a queste crisi profondendo i massimi sforzi per impedire danni all'economia? Non è un argomento in favore di una politica di bilancio più, non meno aggressiva?

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Tags Correlati: Fmi | Francesca Marchei | Paul Krugman |

 

Sono abbastanza certo che un modello dell'Fmi usato nel rapporto, che mostra l'effetto delle recessioni sulla crescita potenziale, implica di fatto che aumentare la spesa pubblica durante una recessione è una mossa che più o meno si ripaga da sola. Una spesa pubblica più alta porta a un incremento della produzione sul breve e sul lungo termine, e l'aumento di entrate che ne risulta compensa verosimilmente i costi iniziali. Non è necessariamente vero, ma è quanto sembra sottintendere il radicato pessimismo del rapporto.
I più non capiranno che la storia che vuole raccontare l'Fmi è questa, e non lo capiranno perché è stata efficacemente celata fra le pieghe del documento. Il rapporto non è fuorviante in senso letterale, ma pochi fra coloro che lo leggeranno giungeranno alla conclusione corretta, e cioè che la vera fonte del debito nei paesi sviluppati non sono le misure di stimolo, ma la recessione.
Traduzione di Francesca Marchei
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