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Lezioni dalla storia. L'imperatore Nerva, che preferì il merito alla famiglia

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 agosto 2010 alle ore 08:02.

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Quale personaggio del passato potrebbe aiutarci a ripartire?

Mi presento: sono Ottavio Titinio Capitone, di rango equestre e procurator ab epistulis - quello che voi chiamereste un segretario particolare - dell'imperatore Marco Cocceio Nerva. Per la verità ricopersi lo stesso ruolo con il predecessore del divino Nerva, Domiziano, ed ebbi l'onore di continuare il mio officium anche con il successore, Traiano. Ero quello che voi moderni chiamereste un civil servant, anche se a quei tempi quando cambiava il governo si poteva perdere la vita.

Tra le mie caratteristiche c'è sempre stato l'amore per la letteratura e - come il mio fraterno amico Plinio il Giovane ebbe la bontà di ricordare - il mio auditorium personale era sempre aperto agli amici. Bei tempi, gli invitati avevano i loro codicilli, i biglietti d'ingresso, e leggevano i libelli, i programmi della serata. Fra le declamazioni letterarie c'erano anche quelle che raccontavano la vita dei Cesari. È per questo che voglio ora condividere con voi l'avventura del mio divino dominus, Nerva, e trarne degli insegnamenti che vi possano servire.

Orbene, correva l'anno 849 ab Urbe condita (il vostro 96 d.C.) e sul trono sedeva Tito Flavio Domiziano, figlio di quel Vespasiano che aveva riportato l'ordine a Roma dopo il periodo di convulsioni successive alla deposizione e al suicidio di Nerone (quello che gli storici ricordano come l'anno dei quattro imperatori). Domiziano succedeva al fratello Tito, amato dal popolo e dalla nobiltà, e all'inizio sembrò governare con moderazione. Poi però la non acutissima intelligenza e un'indole allo stesso tempo capricciosa, scialba e paranoica ne esasperarono i difetti. Io gli fui a fianco fedelmente e posso testimoniare che in lui coesistevano virtù militari, coraggio, buon gusto, un po' di cultura e una certa dose di populismo insieme a una crudeltà e a una concezione politica assolutistica e orientaleggiante che lo portò a instaurare un regime di terrore. Sia come sia, venne assassinato in un complotto di palazzo nel settembre del 96 e il Senato acclamò imperatore il nobile sessantaseienne Marco Cocceio Nerva, giurista insigne, già due volte console sotto i Flavi nonché membro della corte imperiale di Nerone sotto cui ricevette onori trionfali e servì come pretore.

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Tags Correlati: Britanni | Cosimo de' Medici | George Orwell | Horrea Nervae | Marco Cocceio Nerva | Marco Ulpio Nerva Traiano | Plinio il Giovane | Publio Cornelio Tacito | Roma | Senato | Telecom Italia Mobile | Tito Flavio Domiziano

 

Tutti capirono che l'impero era a una svolta: la costruzione di Cesare e Augusto era solida, anzi, Domiziano aveva aggiunto qualche territorio, ma il metodo successorio per diritto di sangue non funzionava bene. Alto era il rischio che una serie sfortunata di imperatori come Caligola, Nerone e Domiziano avrebbe potuto disgregare le fondamenta civili dello stato romano. Inoltre, non era del tutto sopita la convinzione che la monarchia imperiale non fosse un destino inevitabile per Roma, altrimenti incapace di governare territori così vasti. Gli intellettuali e l'aristocrazia senatoria vagheggiavano ancora un ritorno all'antica Repubblica e di questo filone il più autorevole interprete fu nientemeno che Publio Cornelio Tacito, il quale ricoprì la carica di console suffectus proprio sotto Nerva.

E qui entra in gioco lui, l'anziano successore di Domiziano, uomo di transizione e allo stesso tempo mite e illuminato. Egli regnò solo 16 mesi, che furono decisivi e non solo perché governò bene. Come primo provvedimento giurò che nessun senatore sarebbe stato condannato a morte finché lui fosse rimasto in carica. Pose fine ai processi per lesa maestà, che in realtà erano un mezzo per eliminare gli oppositori, liberò chi era stato imprigionato a seguito di tale accusa e amnistiò gli esiliati. Tutte le proprietà illegalmente confiscate furono restituite e, tanto per non sbagliarsi, venne fatta una donazione di 75 denarii a ciascun cittadino e di 5mila per ogni pretoriano. Sempre perché questo clima di mitezza permeasse l'impero, Nerva sospese le persecuzioni contro quella che ai nostri occhi era una strana setta di giudei eretici, i Cristiani, e si concentrò sulle riforme economiche. Abolì l'odiosa tassa giudaica, un tributo ad hoc, e in genere alleggerì il carico fiscale. Tolse l'imposta di successione, distribuì terre pubbliche ai poveri e diminuì le tasse nelle province.

Come dovrebbe fare ogni buon governo, allo stesso tempo tagliò drasticamente le spese (tra cui quelle per le pompose cerimonie religiose e le corse dei cavalli), privatizzò beni pubblici (gli enormi possedimenti di Domiziano, inclusi naviglio e mobilia, e fece fondere le sue statue d'oro e d'argento), donando al fisco anche sue proprietà perché fossero alienate, e diede impulso ad alcune opere pubbliche essenziali, come stadi, granai (l'Horrea Nervae era il più grande magazzino dell'Urbe) e acquedotti.

Anche lui fu obiettivo di complotti, tra cui quello di Calpurnio Crasso e del comandante dei pretoriani, Casperio Eliano. In entrambi i casi il mio divino padrone la passò liscia con grande dignità: la prima volta fece sedere i congiurati al suo fianco e passò loro delle spade chiedendo di verificare se fossero affilate, per mostrar che non temeva la morte. Nel secondo caso si scoprì la gola e la offrì ai gladi dei pretoriani, i quali pragmaticamente lo lasciarono in vita in cambio dell'esecuzione degli uccisori di Domiziano.

Questi episodi erano la prova di quel che Nerva amava dire e cioè che durante il suo impero non aveva fatto niente che gli avrebbe impedito di rinunciare alla carica e ritornare alla vita privata senza nulla temere per la sua sicurezza. Era così liberale che era permesso tenere a me, suo umile segretario, nella mia accogliente dimora, le statue di Bruto, Cassio e Catone l'Uticense, i tre repubblicani per eccellenza!

Ma il suo atto più importante fu l'adozione di Marco Ulpio Nerva Traiano. Come ricorderà lo storico del III secolo Cassio Dione: «Così Traiano diventò Cesare e più tardi imperatore, benché vi fossero parenti di Nerva in vita. Ma Nerva non metteva i rapporti familiari al di sopra della salvezza dello stato, né egli fu meno incline ad adottare Traiano perché era un iberico invece che italiano nonostante nessuno straniero avesse fin lì avuto il comando dell'impero; egli credeva nell'abilità dell'uomo piuttosto che nella sua nazionalità». Poco dopo l'adozione, Nerva morì a causa di un attacco di febbre e Tacito, nel suo libro De Agricola descrisse il suo regno coma «l'alba dell'era più felice, quando Nerva unì insieme cose una volta irriconciliabili, il principato e la libertà».

Mi è stato chiesto, dunque, perché Marco Cocceio sia un esempio anche per i vostri giorni e la mia conclusione è stata che nei momenti di passaggio da una riva all'altra, quando il fiume è agitato quanto lo Stige degli inferi, ci vuole soprattutto un bravo traghettatore come Caronte. Ebbene, il vostro sistema politico ed economico è a una svolta epocale: tutti i nodi sembrano venire al pettine in una volta sola, dalle relazioni industriali al federalismo, dal debito pubblico al ruolo dello stato, passando per le pensioni e la scomposizione del quadro politico. Non è una situazione pre-rivoluzionaria, ma certamente seria e tra qualche anno nulla sarà come prima.

Perciò bisogna fare in modo che qualcuno rispettato da tutti o quasi, come il divino Nerva lo era dal Senato e dal popolo, conduca il paese verso nuovi lidi e una governance (come direbbero i Britanni) rinnovata, allo stesso modo in cui egli accompagnò l'impero verso il suo Secolo d'oro, quello che lo storico Gibbon definì l'era dei cinque buoni imperatori in cui l'umanità conobbe un periodo mai fino allora così lungo di pace e prosperità. E questo accadde grazie al principio adottivo, la scelta del migliore per guidare l'impero.

Nerva privilegiò l'"abilità" sul clan o la nazionalità, privatizzò, ridusse le spese e le tasse, svelenì il clima, si seppe adattare alle minacce, riportò a normalità la giustizia, si concentrò sulle opere pubbliche veramente utili e non solo non si arricchì ma donò del suo. Non ci sarebbe bisogno di un leader così anche nell'Italia odierna? E non sto parlando di tatticismi tipo un "governo di transizione" per gestire la riforma della legge elettorale, ma di una fase di cambiamento profondo che seppure guidato senza un consenso unanime avvenga in un contesto di rispetto reciproco.

Mi chiederete: passaggio verso cosa? Io sono solo un procurator ab epistulis, non saprei dire. Ciò che fece il mio saggio e divino dominus già vi sarebbe utile, ma lo sbocco finale lo dovete decidere voi. Un consiglio, se proprio volete, ve lo posso dare: non adottate come soluzione il principato adottivo, erano altri tempi e nell'Italia di oggi, si sa, i delfini fanno spesso una brutta fine.

adenicola@adamsmith.it

15ª puntata
Le precedenti sono state: Cosimo de' Medici di Tim Parks (25 luglio), George Orwell di Andrea Romano (27 luglio), Giacomo Matteotti di Sergio Luzzatto (28 luglio), Rabindranath Tagore di Franco La Cecla (29 luglio), il capitano Achab di Davide Rondoni (1 agosto), Caterina da Siena di Alessandro Barbero (3 agosto), Margaret Thatcher di Roberto Perotti (4 agosto), Temistocle Martines di Michele Ainis (5 agosto), Isacco Artom di Franco Debenedetti (7 agosto), Niccolò Machiavelli di Gabriele Pedullà (8 agosto), Federico Barbarossa di Franco Cardini (11 agosto), il rabbino Johanan ben Zakkai di Anna Foa (12 agosto), Simone Weil di Elisabetta Rasy (14 agosto) e San Francesco d'Assisi di Bruno Forte (15 agosto), Marco Cocceio Nerva di Alessandro De Nicola (18 agosto 2010)

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