Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 01 ottobre 2010 alle ore 09:05.
L'ultima modifica è del 01 ottobre 2010 alle ore 08:58.
Questa settimana il governo di Berlino ha saldato l'ultima sanzione finanziaria ancora pendente per le responsabilità della prima guerra mondiale e nelle stesse ore la cancelliera Angela Merkel e il ministro degli Esteri Guido Westerwelle hanno fatto visita a New York e Washington per ottenere sostegno alla richiesta tedesca di un seggio il prossimo anno al consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il ventennale della riunificazione cade in un momento di inevitabili contraddizioni sul ruolo della Germania nel mondo.
Di tutte le coincidenze la più dolorosa è la morte, venti giorni prima dell'anniversario, di Baerbel Bohley, simbolo della rivoluzione pacifica che abbatté il Muro: artista che non riusciva più a dipingere da quando il confine era caduto, figura politica che disdegnava il potere, Baerbel Bohley è stata esempio di una coscienza dissidente e sempre accesa senza la cui pressione quieta e incredibilmente coraggiosa la dittatura non sarebbe apparsa agli occhi dei cittadini, giorno dopo giorno, sempre più violenta e volgare e in fine non sarebbe caduta.
Le contraddizioni erano d'altronde intrinseche al 9 novembre 1989 e al 3 ottobre '90. Se la caduta del Muro è stata in sé l'antitesi dell'atto di erigere un monumento, il processo di unificazione si è dimostrato essere la negazione dell'apertura dei confini. Il Muro era in realtà uno specchio, confermava l'identità degli occidentali che si riconoscevano nella loro diversità da ciò che era oltre la cortina di ferro. La diversità ideologica identificava e quindi paradossalmente univa gli europei. Senza lo specchio il bisogno di identità si è ricostruito attorno ai vecchi confini nazionali. Gli interessi locali, regionali sono diventati improvvisamente più importanti. Si è rinazionalizzata anche la politica europea, tradendo l'umanesimo cosmopolita che aveva guidato la rivolta di Lipsia e di Berlino. Non è un caso che Baerbel Bohley avesse deciso di abbandonare la Germania già a metà degli anni 90 per aiutare i bambini a Sarajevo.
Negli ultimi mesi di malattia trascorsi ancora a Berlino nell'appartamento di Fehrbelliner Strasse che ai tempi della rivoluzione chiamavamo "il porto di mare", raccontava che Sarajevo le era apparsa come la Berlino di quando era nata, completamente distrutta dalle bombe. Era quell'immagine, il ricordo visivo delle dittature, e i terribili racconti del padre tornato dal fronte orientale ad averla portata prima al pacifismo e poi alla dissidenza antinazionalista.