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Questo articolo è stato pubblicato il 02 ottobre 2010 alle ore 08:15.
L'ultima modifica è del 02 ottobre 2010 alle ore 10:09.
L'attentato sventato a Maurizio Belpietro fa paura. Deve far paura. Non sembra avere nulla del raptus di uno squilibrato. No, qui c'è una pistola che si inceppa mentre la canna è già puntata sul bersaglio, c'è la fuga preparata di chi ha studiato da tempo il condominio e i cortili vicini. Una scorta beffata. Insomma, un gesto calcolato. E bene. Per questo a Belpietro va la nostra solidarietà.
Si dirà che non è giusto sommare a questo atto (rubricabile alla voce terrorismo) il candelotto che ha bruciato il giubbotto di Raffaele Bonanni sul palco torinese della Festa democratica, i lanci di uova e pietre di ieri a Livorno contro la sede della Confindustria e della Cisl, l'assedio di un gruppo di avversari sindacali urlanti, sempre ai danni della Cisl, a Treviglio. E ancora le contestazioni urlanti che hanno impedito di parlare, in due distinte occasioni, al presidente del Senato Roberto Schifani e all'ex suo collega Franco Marini. O anche l'invasione di sala che ha chiuso appena al suo incipit l'intervento sui nuovi diritti del lavoro del professor Pietro Ichino a Milano.
Certo non si tratta di gesti "sovrapponibili". Ma la loro concatenazione disegna un clima, un'idea di violenza rotolante; prima avvisaglia di pietrisco, poi ciottoli sempre più grandi, infine frana di massi. Frana che frulla quella violenza mai sradicata del tutto, in sonno quando il clima sociale non si fa propizio, ma ora certo incentivata a risvegliarsi. La crisi, lasciata con poche risposte operative da chi governa le leve della politica economica, è un detonatore pericoloso e rischia di diventare giustificazione di atti fuori dalle regole, dalle leggi e dall'idea stessa di cittadinanza pacifica.
Il candelotto doveva zittire – per voce della sua stessa lanciatrice, Rubina Affronte, presto star da intervista e volto per "okkupazioni" di pronta presa televisiva – la voce di Raffaele Bonanni non degno – a suo dire – di parlare a nome dei lavoratori, con buona pace di 4,5 milioni di iscritti.
Stupisce che Maurizio Landini, leader di un sindacato storico come la Fiom, mescoli le parole di condanna dei lanci violenti a giustificazioni divaganti sulla necessità di impedire «lo strappo democratico che si sta consumando con gli accordi sulle deroghe contrattuali».