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Commenti e Inchieste

L'Irlanda fa paura all'Europa. Vi spiego perché per battere la crisi conviene salire sul treno tedesco

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Questo articolo è stato pubblicato il 16 novembre 2010 alle ore 08:42.

Cina? Usa? no, Germania (di Ettore Gotti Tedeschi)

Dublino costruisce, Atene rimedia (di Riccardo Sorrentino)

I mercati reagiscono velocemente alle informazioni utili, e, quindi, anche agli annunci delle autorità politiche e monetarie. Nello scenario europeo di questi giorni la volatilità dei tassi d'interesse sui titoli pubblici dei paesi periferici, specialmente di Grecia, Irlanda e Portogallo, è contemporanea ad annunci controversi da parte della Bce e dei capi di stato. Gli uomini di Trichet assicurano che nessun paese dell'Uem potrà mai fallire o ristrutturare il proprio debito, mentre la cancelliera tedesca Angela Merkel chiede una revisione dei trattati che preveda l'introduzione di un meccanismo di ristrutturazione del debito sovrano con una parziale punizione dei creditori.

La gran parte degli economisti ha fin qui attaccato la Merkel accusandola di gettare benzina sul fuoco. Mettere in dubbio la solvibilità di un paese in un momento di incertezza e di pressioni speculative è, in effetti, un azzardo. Ma basta questa considerazione a risolvere una questione così complessa come quella della stabilità finanziaria del sistema monetario europeo?

La valutazione del debito e della solvibilità di un paese dipende da molti fattori, in parte legati a variabili strutturali, come la crescita e la produttività, in parte legati alla capacità dei governi di contenere le spese e far pagare le tasse ai cittadini. Ogni paese ha una storia e una prospettiva diversa in relazione a questi fattori. Una crisi di debito può deflagrare per varie ragioni. Perché un paese subisce un deterioramento della sua posizione competitiva, a causa di una caduta della produttività o di un aumento del costo del lavoro. Perché, come nel caso irlandese, le istituzioni finanziarie hanno assunto rischi eccessivi, o, come nel caso della Grecia, perché i governi hanno fatto politiche troppo populiste.

In assenza di un qualsiasi accordo sovranazionale di mutuo sostegno, il mercato determina il valore del debito (e i tassi d'interesse) sulla base dei rischi di insolvenza. Ciò limita la capacità dei governi di ricorrere al debito estero e determina un freno all'indebitamento. I creditori hanno tutto l'interesse a dare una valutazione realistica della solvibilità di un paese per evitare i costi del default.

L’articolo continua sotto

Cina? Usa? no, Germania

Per avvantaggiare il nostro paese nell'uscita dalla crisi e riprenderci economicamente al meglio,

Dublino costruisce, Atene rimedia

Non sono uguali. Gli investitori, dovendo ridurre ogni considerazione, ogni analisi, a un prezzo

Tags Correlati: Angela Merkel | Bce | Grecia | Irlanda | Papandreou | Romano Prodi | Stati membri dell'Unione europea

 

L a Bce ritiene che la solvibilità dei paesi membri dello Sme debba essere assolutamente garantita, avendo posto sotto il controllo dell'Unione Europea i conti pubblici degli stati, mediante il patto di stabilità, e creato un fondo per la stabilità finanziaria. La questione che dobbiamo porci, però, dopo la bufera finanziaria di questi mesi, è se questa strategia funzioni.

Il bail out di istituzioni indebitate (come gli stati, le banche o le imprese) è giustificato quando appare chiaro che l'istituzione in questione è vittima di un'ondata di panico, non giustificata sulla base dei fattori strutturali.

Il problema è che il Pil della Grecia sta scendendo al ritmo del 3-4% all'anno e il governo Papandreou ha già dovuto rivedere al rialzo le stime sul disavanzo pubblico. La Spagna è sostanzialmente ferma, con un disavanzo pubblico intorno al 10 per cento.

La concessione di ulteriori prestiti da parte delle istituzioni europee non fa che aggravare il problema della sostenibilità del debito sovrano, alimenta le aspettative di una ristrutturazione e provoca l'allargamento degli spread.

È evidente che l'esposizione delle banche europee nei confronti dei paesi del Sud Europa e dell'Irlanda è stata alimentata proprio dalle garanzie (implicitamente o esplicitamente) offerte dall'Unione Europea.

Ancora adesso, nonostante le incertezze, sembra che le banche greche prendano a prestito dalla Bce a tassi irrisori per comprare il debito pubblico del proprio paese lucrando sulla differenza tra i tassi. È una conseguenza perversa delle rassicurazioni della Bce che provoca l'ulteriore concentrazione dei rischi.

L'idea della Merkel di istituire un meccanismo di ristrutturazione del debito che penalizzi i creditori privati è quindi del tutto ragionevole. Questo meccanismo consentirebbe di ridurre i danni da contagio causati da un default sul debito sovrano e renderebbe più costoso il ricorso al debito per i paesi meno solidi sul piano dei fattori strutturali (produttività, reputazione dei governi).

Chi si oppone a questa proposta lo fa perché crede che essa possa indebolire la capacità dell'Unione Europea di imporre il rispetto della disciplina fiscale. Se uno stato ha l'opzione di fallire, e se l'Unione Europea non è necessariamente chiamata in soccorso dopo una crisi di insolvenza, i governi potrebbero avere meno incentivi a rispettare la disciplina di bilancio?

Trovare una risposta a questa domanda non è facile. Tuttavia, sappiamo che delegare la disciplina solo ai trattati, in un contesto in cui il rischio di credito ricade sui contribuenti e non sui creditori, non è la strada giusta, perché aumenta il rischio, determina un eccesso di indebitamento degli stati meno virtuosi e aumenta i costi della ristrutturazione dei conti pubblici dopo che una crisi si è manifestata.

Le sanzioni dell'Unione Europea nei confronti degli stati che non rispettano il patto di stabilità saranno sempre e comunque esercitate nei limiti posti dal consenso dei paesi membri, e quindi poco credibili.

Ciò non significa che l'Unione Europea non debba esercitare una sorveglianza severa o imporre sanzioni ai paesi inadempienti. Ma non dobbiamo nasconderci che qualunque patto di stabilità sarà sempre un po' «stupido» (come Romano Prodi ebbe a dire di Maastricht), nella misura in cui i limiti quantitativi al debito o al disavanzo degli stati non potranno tener conto di tutti i fattori strutturali che rendono più o meno credibile la solvibilità di un paese.

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