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Questo articolo è stato pubblicato il 23 novembre 2010 alle ore 08:33.
L'ultima modifica è del 23 novembre 2010 alle ore 07:36.
Mi risulta difficile parlare della Birmania (Myanmar) senza provare una profonda nostalgia. I ricordi della mia prima infanzia sono tutti lì, essendo cresciuto tra i tre e i sei anni a Mandalay. Da quasi mezzo secolo, però, il paese meravigliosamente bello che ricordo è nella morsa di un regime militare inverosimilmente autoritario, ha istituzioni allo sfascio, pratica l'arresto in modo arbitrario, la tortura in maniera diffusa, ed è abitato da molteplici comunità di etnie minoritarie terrorizzate. La situazione è rimasta tale così a lungo che ormai un senso di disfattismo compenetra perfino chi è ottimista ed è elettrizzato da piccoli gesti di pietà.
Di conseguenza, in coincidenza con la liberazione di Aung San Suu Kyi da un domicilio coatto ingiusto – occasione concreta per festeggiare – è opportuno altresì riflettere con chiarezza su quello che la comunità internazionale può concretamente fare per appoggiare la sua causa.
Che cosa può fare la comunità internazionale? Molti analisti di questioni birmane chiedono da tempo l'invio di una commissione di indagine internazionale, se possibile guidata dalle Nazioni Unite. Le motivazioni per svolgere un'inchiesta sono solide e molteplici, soprattutto dopo la manipolazione delle recenti elezioni. Vi sono in ogni caso alcuni provvedimenti immediati che possono essere varati allo scopo di esercitare maggiori pressioni sul regime.
Prima di tutto occorre delineare ex novo l'insieme di sanzioni ed embargo in vigore al momento. Sanzioni generiche che colpiscono la popolazione birmana – per esempio ponendo restrizioni alle esportazioni di capi di abbigliamento – possono essere sostituite da sanzioni che prendano invece di mira direttamente il regime, colpendo per esempio le attività alle quali si dedica preferibilmente chi ne fa parte. In cima all'elenco delle possibili sanzioni occorre naturalmente concordare un embargo su armi e armamenti di ogni tipo, e vi sono ottimi motivi per approvare sanzioni su alcuni prodotti – dai minerali alle pietre preziose, dal petrolio al gas – che assicurano consistenti guadagni al regime.
Si potrebbe quindi proseguire efficacemente vietando i viaggi all'estero a chiunque faccia parte del regime o sia associabile a esso. Risulterebbero utili anche restrizioni finanziarie sulle grosse transazioni attuate da imprese nelle quali siano coinvolte direttamente o indirettamente le autorità militari.