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Questo articolo è stato pubblicato il 19 novembre 2010 alle ore 08:51.
A venti giorni dalla consegna del Nobel per la pace c'è un clima di incertezza e tensione che, dicono gli esponenti del comitato di Oslo, non si è mai respirato: probabilmente la cerimonia sarà rimandata visto che Liu Xiaobo, il dissidente cinese premiato, non potrà uscire dal carcere, né ad alcuno dei suoi familiari sarà concesso di ritirare il Nobel in sua vece.
In più, cinque paesi (Russia, Kazakhstan, Cuba, Iraq e Marocco) hanno accolto il pressante invito di Pechino a disertare l'appuntamento del 10 dicembre. L'iraniana Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace nel 2003, anche lei nata e vissuta in un paese in cui i diritti umani sono tali solo sulla carta, lancia un appello a tener viva la fiamma di Liu e a non perdere l'occasione di denunciare il regime di Pechino.
Come pensa andrà a finire questa vicenda? Si arriverà a un compromesso?
Il Dalai Lama in esilio in India, la feroce repressione di Tienanmen, i musulmani cinesi che sono stati massacrati... La storia dice che non ci sarà alcun compromesso. La Cina sfama la gente, ma non rispetta la dignità delle persone.
Che cosa si può fare di concreto per contribuire a cambiare questa situazione?
Ricordare che cos'è il governo di Pechino, sempre. Un governo che ha sostenuto i generali in Myanmar, che appoggia Mahmoud Ahmadinejad in Iran, Omar Bashir in Sudan, e il cui principale alleato è la Corea del Nord. Non smettete mai di denunciare tutto questo
Come mobilitarsi per Liu Xiaobo? Suggerisce anche lei una pacifica invasione di Oslo, come ha detto qualcuno?
Certo. Io intanto ho proposto un gesto simbolico alle Nazioni Unite. L'Onu non ha il potere di far scarcerare Liu, ma si potrebbe affiggere una sua grande fotografia nell'aula dell'assemblea generale, a dicembre, e mettere in imbarazzo Pechino di fronte al mondo.
L'anno scorso il Nobel per la pace è andato al presidente americano Barack Obama. Qual è il suo giudizio? È stato all'altezza delle aspettative?
Sul piano delle qualità umane penso sia stata una scelta giusta, non meno felice delle precedenti edizioni. Certo, bisogna tener conto del contesto in cui Obama opera e dei limiti che il ruolo gli impone. Non condivido l'ampliamento della guerra in Afghanistan, che peraltro non ha cominciato lui, ma va ricordato che ha posto fine al conflitto iracheno, si è impegnato sulla chiusura di Guantanamo e si è speso sulla riforma della sanità.