Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 25 novembre 2010 alle ore 08:03.
Il mondo della cultura in modo energico si oppone ai tagli che il Palazzo della politica sta decidendo. Sono gravi le ricadute sull'organizzazione culturale del paese. Non mancano appoggi dentro il Palazzo e a priori tutti son d'accordo nell'affermare che la cultura è la nostra risorsa e la nostra vocazione nel mondo. Ma al di là delle petizioni di principio occorre porsi alcuni problemi.
La crisi o insegna qualcosa a tutti o è una circostanza in cui difendere ottusamente la propria posizione, con la conseguente maggior rovina per tutti. Il Palazzo della politica troppe volte dà segno di non comprendere valori e necessità legate alla cultura e alla sua vita reale, ma anche il Palazzotto della cultura non sfugge a simili ambiguità e responsabilità. Il recente caso di soldi Ue da restituire perché usati in modo improprio per un'iniziativa promossa come culturale (il concerto di Elton John a Napoli) è un indicatore. Abbiamo assistito a valorosi esempi di dedizione culturale accanto a sprechi disinvolti. Quasi sussurrando tra proclami e alti lai, propongo tre punti.
Il primo riguarda l'impianto generale. La cultura in Italia in molti settori è finanziata direttamente dallo stato o da regioni, comuni, province. Questo ci ha reso un paese ricco d'iniziative ma ha fatto crescere professioni e imprese dipendenti da tali finanziamenti. In molti casi gli enti stessi sono divenuti produttori (non richiesti) di cultura, di manifestazioni spesso legate al gusto o alla formazione (o all'area) dell'assessore di turno. In mezzo a tante ottime cose non mancano iniziative un po' surreali o veri e propri sprechi o manie, e fiere delle vanità. E a tutto questo si è dato il nome di cultura.
Se si vuol fare gli statalisti, verrebbe da dire, lo si faccia sul serio. E allora in Francia, dove lo fanno, c'è un festival del cinema, a Cannes, e non due, Venezia e Roma, più una serie di altri medi e piccoli. Paragonare l'impegno dello stato francese all'italiano sulla produzione di cultura significa dimenticare la necessità italiana senza pari nel mondo di conservazione di beni culturali diffusissimi nel territorio. Se non si vuole più un impianto statalista - è il secondo suggerimento - allora si arrivi a un impianto sussidiario del sistema.