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Tra logica del Parlamento e logica della piazza: Fini (e Bersani) rischia di lavorare per il re di Prussia

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Questo articolo è stato pubblicato il 26 novembre 2010 alle ore 09:15.
L'ultima modifica è del 26 novembre 2010 alle ore 09:20.

Quando ci si avvicina alle elezioni e il governo appare in affanno, tutto può accadere. Di solito le logiche politiche sono alterate dalle convenienze. In tempi normali la riforma Gelmini sarebbe passata con qualche emendamento correttivo ma senza troppi clamori all'interno della maggioranza. Oggi invece diventa il terreno di scontro tra finiani e berlusconiani, in un braccio di ferro dai contorni via via più nebbiosi. Il merito della legge passa in secondo piano, mentre altre considerazioni, tutte politiche, s'impongono: c'è un presidente del Consiglio logorato di cui dimostrare l'inadeguatezza e un'opinione pubblica turbata da accarezzare in vista del voto.

Tutto questo è comprensibile, fa parte del gioco parlamentare in una stagione di debolezza dell'esecutivo; tuttavia l'esito della miscela lo vediamo nei disordini che si accendono qui e là. «Gli studenti non sono degli estremisti» ha detto il segretario del Pd Bersani. Se si riferisce alla maggior parte di essi, non c'è dubbio: del resto in molti casi le proteste si riducono ad atti dimostrativi in alcuni luoghi simbolici. Ma l'assalto al Senato di mercoledì e l'ingresso con la forza nei locali al piano terra di Palazzo Madama non sono da sottovalutare. A memoria, non esiste quasi precedente per questo episodio: bisogna risalire a quasi un secolo fa, alle manifestazioni interventiste del maggio 1915 (allora si trattava di Montecitorio).

L'opposizione non può non sapere che è sempre rischioso blandire la piazza nella convinzione di cavalcarla. Bersani ha detto, è vero, che lui non tira uova. Ma è evidente la tentazione di molti: ammiccare ai dimostranti con la speranza che il vigore delle proteste più o meno spontanee faccia da ricostituente per il fronte un po' esangue degli oppositori. Come se i giovani in piazza fossero l'avanguardia di un movimento di massa che annuncia la fine di Berlusconi e del suo assetto di potere.

L'esperienza insegna purtroppo che le cose vanno spesso in tutt'altra direzione. Berlusconi potrebbe addirittura trarre vantaggio da una fase di disordini prolungati. In fondo non sarebbe la prima volta che l'uomo fa ricorso ai principi classici di "legge e ordine", con l'ausilio della Lega. E non sarebbe la prima volta che una "maggioranza silenziosa" osserva gli eventi e poi si esprime nelle urne. Né va presa troppo sul serio la frase pronunciata ieri dal premier: «Le elezioni anticipate sarebbero da irresponsabili». Con tutta evidenza l'obiettivo del presidente del Consiglio è conquistare la fiducia di Camera e Senato, il prossimo 14 dicembre. Poi si vedrà: l'eventuale voto a favore del governo non garantirà certo il futuro della legislatura, più semplicemente offrirà a Berlusconi un maggiore margine di manovra.

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Ecco perché l'opposizione, se non vuole fare il gioco dell'avversario, dovrà fare attenzione a non lasciarsi comprimere nella zona grigia dove la logica parlamentare e la logica della piazza si confondono. Tema che riguarda anche, e forse soprattutto, il partito del presidente della Camera.

La strategia volta al logoramento progressivo del premier può essere efficace, ma solo finché non diventa controproducente. E sulla riforma Gelmini "Futuro e libertà" sta quasi raggiungendo quel limite. Per una forza che vuole rappresentare la legalità e i valori dell'"altra destra" è un errore dare l'impressione che non interessa tanto migliorare la legge quanto rincorrere gli studenti, i ricercatori e tutti i nemici del testo in discussione. Quando le piazze s'infiammano ci si può accorgere di aver lavorato per il re di Prussia.

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