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Questo articolo è stato pubblicato il 26 novembre 2010 alle ore 09:19.
L'ultima modifica è del 26 novembre 2010 alle ore 09:19.
I piani di rilancio di MIrafiori (di Andrea Malan)
Nei suoi 71 anni di storia Mirafiori ha avuto molte vite. È stata, nel 1939, all'atto della sua inaugurazione, la fabbrica-manifesto dell'industrialismo italiano, destinata a tradurre nella realtà italiana il modello della produzione di massa di Henry Ford. Dopo la seconda guerra mondiale è stata la fabbrica-simbolo della trasformazione industriale del paese, il gigantesco melting pot di una crescita fondata sulla capacità di attrarre un numero inusitato di persone, richiamate dalla promessa di un lavoro stabile e assiduo. In seguito, è stato il teatro della conflittualità sindacale, assicurando visibilità e risonanza ai movimenti collettivi, fino al 1980.
Dopo di allora e fino a oggi, ha continuato a essere il luogo emblematico della specializzazione torinese nel campo dell'automotive: pur avendo perso il ruolo di "più grande fabbrica d'Italia", secondo lo stereotipo in uso presso la pubblicistica sindacale e politica degli anni Cinquanta, è rimasta come il punto di riferimento di una città che ha ravvisato nell'industria un elemento caratterizzante della propria identità.
Ora Mirafiori è chiamata a essere di nuovo lo spazio a cui deve applicarsi una capacità di progettare l'organizzazione industriale di domani, dimostrando di essere in grado di accogliere e realizzare il cambiamento che la nuova articolazione del sistema globale dell'automobile sollecita.
La trattativa che si apre stamani presso l'Unione Industriale di Torino non è un negoziato sindacale come gli altri. Deve gettare le basi di una nuova organizzazione del lavoro che prevede una diversa regolazione della fabbrica e delle attività che vi si compiono. Deve attrezzare un ambiente per il World class manufacturing, il metodo organizzativo che strutturerà le mansioni lavorative quando diverrà possibile tornare a far girare a pieno regime i meccanismi dell'ingranaggio produttivo. Dovrà così contemperare gli obiettivi aziendali di domani con le caratteristiche di una popolazione lavorativa che ha spesso alle spalle una storia professionale ormai lunga.
Bastano queste ragioni a far comprendere che non si tratta di un passaggio sindacale su una falsariga già nota, anche se si porta dietro lo strascico delle lacerazioni e delle polemiche che da sei mesi si svolgono attorno allo stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco.