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Questo articolo è stato pubblicato il 11 dicembre 2010 alle ore 09:27.
Gli eventi di giovedì a Londra condensano in una sola giornata due momenti chiave della storia inglese degli ultimi vent'anni: i disordini di massa che segnarono l'introduzione della poll tax e la quasi sconfitta di Blair sul voto parlamentare che triplicava le tasse universitarie. La rivolta del '90 preannunciò l'inizio della fine per la Lady di ferro; il voto del 2004 ai Comuni, ne abbiamo oggi la conferma, marcava una svolta irreversibile nel rapporto tra stato, atenei e studenti e nella natura stessa del partito laburista. La riforma annunciata dalla nuova coalizione conservatrice-liberal-democratica, è bene ricordarlo, segue in larga miusra le proposte della commissione indipendente presieduta da Lord Browne e insediata dal governo laburista.
Oggi Milliband ha buon gioco a sparare contro queste proposte, ma se avesse vinto le elezioni le avrebbe ritrovate identiche sul suo tavolo e sarebbe stato meno agevole gettarle nel cestino. Era stato proprio il New Labour ad argomentare non una ma due volte, nel '98 e nel 2004, che se lo stato voleva garantire un sostegno crescente alla scuola dell'obbligo e, al contempo, permettere alle università inglesi di competere a livello internazionale, esisteva un'unica soluzione che non fosse quella di un aumento massiccio delle imposte: chiedere ai laureati di far fronte a una parte maggiore degli studi universitari attraverso un sistema di pagamenti pluriennali a tassi agevolati garantiti dallo stato.
Per questo, quando due mesi fa Lord Browne aveva pubblicato il suo rapporto, nessuno si era sorpreso di fronte alla proposta di aumentare in modo considerevole il livello delle rette di frequenza dall'attuale massimo di circa 3.500 sterline a non meno di seimila, una proposta che, nei fatti, era sostenuta anche dai laburisti. Lo stato riduce così di molto il suo contributo alle università ma aumenta quello agli studenti sotto forma di esenzioni, borse di studio e agevolazioni sui prestiti; gli atenei, per parte loro, perdono in qualche misura la certezza di contributi statali ma vedono schiudersi la prospettiva di acquisire risorse maggiori che in passato, se sapranno convincere gli studenti, a questo punto veri arbitri del sistema, che vale la pena investire sulla laurea.