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Questo articolo è stato pubblicato il 16 dicembre 2010 alle ore 07:42.
Il Consiglio europeo rischia ancora una volta di rispondere troppo timidamente alla crisi dell'euro, con "una modifica limitata" al testo del Trattato. Il compromesso sul tavolo recita che «i paesi che condividono l'euro possono creare un meccanismo di stabilità al fine di mettere al sicuro la stabilità dell'euroarea nel suo insieme».
Si tratta di un linguaggio tutt'altro che casuale per chi segue il dibattito giuridico in Germania, ma poco rassicurante per i mercati. Verranno aumentate le risorse finanziarie del "meccanismo comune", ma rispetto alla rapidità dei mercati finanziari e alla profondità dell'attacco, viene naturale criticare la viscosità delle decisioni e in particolare le resistenze del governo tedesco. Per evitare che l'incertezza si autoalimenti - per esempio con una fuga di depositanti dai paesi critici - fino a diventare incontrollabile, è indispensabile capire se alla fine di questo procedere per piccole variazioni dettato da Berlino vi sia una reale determinazione a salvare l'euro.
Negli anni Ottanta un economista di Chicago introdusse una distinzione tra rischio e incertezza che non è mai realmente filtrata nel linguaggio politico. A differenza del rischio l'incertezza non è misurabile ed è quindi difficile assicurarsi contro di essa. Il lento passo dei paesi dell'euro nel contrastare i problemi della moneta comune tende a contenere i rischi che si presentano volta per volta, ma accresce l'incertezza sul disegno complessivo. Le recenti iniziative - dagli eurobond (Juncker-Tremonti) alle aperture all'unione politica (Schäuble) - che "assicurano" la volontà politica dei governi a salvare la moneta comune e non solo ad arginare singoli casi di crisi non sono dunque un contorno retorico agli aiuti materiali, ma una componente essenziale per il futuro dell'euro.
Tre sono gli elementi del discorso pubblico che possono condizionare le scelte tedesche: i timori dei cittadini di essere chiamati a finanziare i debiti altrui; il gioco politico tra i partiti in cui una politica di scarso rispetto degli interessi nazionali rischia di essere punita.
Infine il ruolo dei media che cavalcano con toni estremisti gli interessi materiali facendoli diventare ideologia populista. L'opinione pubblica sembra aver compreso meglio dei media la posta in gioco: se ancora nel 2008 il 58% dei tedeschi preferiva tornare al marco, nel 2010 la percentuale era scesa al 47% per toccare il 31% nei giovani sotto i 30 anni. Due terzi dei tedeschi sono contrari ai salvataggi con denaro pubblico, ma è la stessa percentuale che si esprime anche contro i salvataggi di imprese tedesche. Tra i partiti esistono fibrillazioni e soprattutto una lotta sotterranea per la successione al ministro delle Finanze e alla cancelliera, ma i consensi per i partiti europeisti sono aumentati, non calati, nel 2010. E l'opposizione sfida il governo da posizioni più europeiste non più nazionaliste. Nel complesso nessuno dei tre elementi (consenso, partiti, media) è di vero ostacolo alle scelte europeiste di Berlino.