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Obama e Hu amici per forza

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Questo articolo è stato pubblicato il 15 gennaio 2011 alle ore 10:05.

Drago e Zio Sam debutta il G 2 (di Francesco Sisci)

Il summit del 19 gennaio tra i presidenti di Cina e Stati Uniti si tiene in una fase in cui si stanno facendo notevoli passi avanti nella risoluzione delle questioni bilaterali in sospeso, ed è prevededibile al termine un comunicato congiunto incoraggiante. Entrambi i leader, però, nei rispettivi paesi devono far fronte anche a una parte dell'opinione pubblica che esagera le divergenze, più che la cooperazione.

La maggior parte dei cinesi che ho incontrato e che non lavorano per il governo (ma anche alcuni di questi ultimi) paiono persuasi che gli Usa ambiscano ad applicare la politica del contenimento con Pechino e a contrastarne l'ascesa. Gli esperti americani di strategia stanno richiamando l'attenzione sull'accresciuta espansione economica globale cinese e sulle crescenti capacità del suo apparato militare. Occorre prestare grande attenzione, nel timore che entrambe le parti si considerino in una situazione di profezia che si auto-avvera. Questa sarebbe una conseguenza molto grave: la natura stessa della globalizzazione e la portata della tecnologia moderna obbligano Usa e Cina a interagire in tutto il pianeta.

Una guerra fredda tra loro potrebbe costringere la comunità globale a dover scegliere da quale parte schierarsi, allargare le divergenze alle politiche interne nel momento in cui alcune questioni cruciali - quali proliferazione nucleare, ambiente, energia, clima - richiedono invece una soluzione globale condivisa da tutti. Il conflitto non fa necessariamente parte del processo di crescita di una nazione. L'esperienza vissuta dagli Usa nel XX secolo è un esempio di come è possibile raggiungere una posizione dominante senza combattere con i paesi più forti a quei tempi. Neppure il conflitto tra tedeschi e britannici, spesso citato a questo proposito, era inevitabile. Ad avere un ruolo in questa trasformazione della diplomazia europea in un gioco a somma zero sono state politiche provocatorie e avventate.
Le relazioni tra Cina e Usa non prenderanno questa piega. I due paesi sono in contatto costante, collaborano come è opportuno che sia in tutte le più importanti questioni dei nostri tempi. A mancare loro è il concetto notevolmente superiore d'interazione. Durante la Guerra fredda, un avversario comune funse da anello mancante. Dalla molteplicità dei nuovi doveri che è necessario che questi paesi si accollino – indispensabili per far fronte a un mondo globalizzato che vive un cambiamento epocale politico, economico e tecnologico – non sono ancora emersi concetti condivisi. Il problema non è semplice, giacché implica di subordinare le aspirazioni nazionali a una visione dell'ordine globale.

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Né Washington né Pechino hanno esperienza alcuna, da questo punto di vista. Entrambi hanno dato per scontato che i rispettivi valori nazionali fossero a uno stesso tempo unici e quelli ai quali qualsiasi altro popolo debba necessariamente aspirare. La più grande sfida delle relazioni sino-americane, pertanto, sarà proprio riconciliare queste due versioni di eccezionalità assoluta.

L'eccezionalità americana trova naturale condizionare il proprio comportamento nei confronti delle altre società in funzione dell'accettazione da parte di queste ultime dei valori americani. La maggior parte dei cinesi non considera l'ascesa del proprio paese come una sfida all'America, bensì come l'annuncio di un ritorno allo status di cui la Cina godeva quando era importante. Dall'ottica cinese, quindi, l'anormalità è costituita dai due secoli passati nei quali la Cina si è rivelata debole, e non in forte crescita come adesso.

Da un punto di vista storico, l'America ha agito come se potesse scendere nell'arena degli affari internazionali - o ritrarsi da essa - a suo piacere. Nella percezione cinese di sé come Regno di Mezzo era del tutto sconosciuto il concetto di eguaglianza sovrana. Fino alla fine del XIX secolo, la Cina ha trattato i paesi stranieri alla stregua di varie categorie di vassalli e non ha mai incontrato un paese di grandezza equiparabile alla propria finché gli eserciti europei non posero fine al suo isolamento. Fu solo nel 1861 che si creò in Cina un ministero degli Esteri, e anche in quel caso incaricato soltanto di occuparsi degli invasori coloniali.
Gli Stati Uniti hanno scoperto che la maggior parte dei problemi che li riguardavano era risolvibile. La Cina, nella sua storia millenaria, ha sviluppato la convinzione che pochi problemi possono avere una soluzione definitiva. L'America ha dunque un approccio che si basa sulla risoluzione dei problemi; la Cina è a suo agio nella gestione di situazioni contraddittorie senza dare per scontato che siano risolvibili.

La diplomazia americana persegue risultati specifici, con mentalità risoluta e determinazione. I negoziatori cinesi è più probabile che prendano in considerazione questo processo come un insieme di elementi politici, economici e strategici e cerchino risultati ingrandendolo maggiormente. I negoziatori americani si stancano e sono impazienti nei confronti delle scadenze; i negoziatori cinesi non incontrano difficoltà emotiva alcuna rispetto a queste, e le considerano parte dell'inevitabile meccanismo della negoziazione. I negoziatori americani rappresentano una società che non ha mai subito una catastrofe nazionale - a eccezione della Guerra Civile, che non è considerata un'esperienza internazionale. I negoziatori cinesi, invece, non riescono a dimenticare il secolo di umiliazione inflitta loro quando gli eserciti stranieri pretesero un tributo da una Cina fiaccata e prostrata. I leader cinesi sono estremamente sensibili ai più vaghi accenni alla condiscendenza e sono in grado di tradurre l'insistenza americana in una mancanza di rispetto.

La Corea costituisce un buon esempio in tema di prospettive divergenti. In questo caso, l'America è concentrata sulla proliferazione delle armi nucleari. La Cina - che sul lungo periodo avrebbe maggiormente da temere rispetto a noi dalla presenza in Corea di armi nucleari - è attenta inoltre alla vicinanza. È maggiormente preoccupata per le agitazioni che potrebbero verificarsi qualora le pressioni per la non proliferazione portassero al crollo del regime nordcoreano. L'America cerca in ogni modo una soluzione concreta a un problema preciso. La Cina considera questo risultato come una meta intermedia in una serie di sfide collegate tra loro riguardanti il futuro dell'Asia nord-orientale, senza una meta finale precisa. Perché si verifichi un vero progresso, pertanto, la diplomazia coreana necessita di una base più ampia.

Gli americani di frequente chiedono alla Cina di dimostrare il proprio senso di "responsabilità internazionale" contribuendo alla soluzione di un problema specifico. L'affermazione che la Cina debba dimostrare la sua buona fede stride alle orecchie di un paese che si considera vincolato ad adeguarsi in qualità di membro a un sistema internazionale creato in sua assenza, sulla base di programmi che non ha contribuito a sviluppare.
Un altro esempio è la questione del tasso di cambio. L'affermazione - spesso espressa in termini di necessità interne americane - secondo cui la politica monetaria cinese è straordinariamente egoista costringe il dibattito a tornare al diritto sovrano cinese di fissare il proprio tasso di cambio. Evocare i reciproci vantaggi ha molte più probabilità di portare a risultati positivi delle esortazioni a fare concessioni sulla base di condotte che si presumono sbagliate.

Mentre l'America persegue politiche pragmatiche, la Cina tende a considerarle parte di un disegno generale. In realtà, tende a trovare una spiegazione logica a iniziative essenzialmente dovute a problemi interni, in termini di strategia generale finalizzata a frenare la Cina.

L'ordine mondiale sarà messo alla prova nella misura in cui i contendenti riusciranno a rassicurarsi reciprocamente. Nelle relazioni sino-americane, la realtà di primaria importanza è che nessun paese sarà mai in grado di dominare l'altro e che un conflitto fra loro distruggerebbe le rispettive società. Riusciranno dunque a trovare un contesto concettuale che esprima questa realtà di fatto? Il concetto di Comunità pacifica potrebbe diventare un principio organizzativo del XXI secolo per evitare che si creino dei blocchi. Per questo motivo, occorre loro un meccanismo di consultazione che consenta di elaborare gli obiettivi comuni a lungo termine e di coordinare le posizioni dei due paesi nelle conferenze internazionali.

Lo scopo ultimo dovrebbe essere quello di creare una tradizione di rispetto e cooperazione, così che colore che sostituiranno i leader oggi presenti a questo meeting continuino a vedere come sia nel loro interesse costruire un ordine del mondo emergente frutto di un'impresa comune.

© 2011 TRIBUNE MEDIA SERVICES, INC
Traduzione di Anna Bissanti

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