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C'è malessere istituzionale ma non si vede lo sbocco politico

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Questo articolo è stato pubblicato il 19 gennaio 2011 alle ore 08:07.

Non capita tutti i giorni che il capo dello Stato smentisca ufficialmente di aver ricevuto una telefonata dal presidente del Consiglio. Può apparire quasi un dettaglio: in realtà è il segno del disagio istituzionale che si va diffondendo. L'oggetto della telefonata smentita aveva per oggetto, secondo ambienti vicini a Berlusconi, le proteste del premier per l'attività «eversiva» delle procure e per il ruolo destabilizzante di non meglio precisati «servizi deviati». Sottolineando che lo scambio telefonico non si è svolto, Napolitano ha fatto trapelare la sua irritazione, visto che non intende in alcun modo condividere la tesi berlusconiana.

Per non lasciare dubbi, il presidente ha fissato in una nota le ragioni della sua preoccupazione. Che riflette «il turbamento dell'opinione pubblica dinanzi alla contestazione di gravi ipotesi di reato e dinanzi alla divulgazione di numerosi elementi riferiti ai relativi atti d'indagine». Parole scelte con cura per stabilire una gerarchia non casuale. Il primo motivo di «turbamento» riguarda la gravità delle accuse rivolte al capo del governo. Al secondo posto c'è il rammarico per la fuga di notizie. Dove è chiaro però che l'accento è soprattutto sul primo punto. È qui l'origine della devastazione istituzionale. E tale pericolo impone di fare chiarezza il più in fretta possibile.

Su questa falsariga si è svolto il colloquio del pomeriggio, in occasione di una cerimonia per il 150esimo dell'Unità. Colloquio, a quanto si sa, non particolarmente caloroso e nel quale Napolitano, di nuovo, ha evitato di offrire coperture a Berlusconi quando quest'ultimo si presenta come vittima di un tentativo «golpista». Viceversa il capo dello Stato insiste nell'indicare l'esigenza che si chiariscano i contorni di una vicenda troppo inquietante per restare irrisolta.

E ora cosa succederà? La domanda è sulla bocca di tutti, ma non esiste ancora una risposta chiara. Berlusconi nega con forza l'ipotesi di sue dimissioni, richieste dall'opposizione. D'altra parte non sembra che egli abbia intenzione di chiarire la vicenda nelle sedi giudiziarie. La linea di difesa non è stata ancora decisa, ma prevale l'arroccamento di tipo politico. Il rifiuto opposto alla magistratura «rossa» e alle sue supposte trame. Il che, come è evidente, pone la questione sul piano inclinato che conduce alle elezioni anticipate.

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Vedremo nelle prossime ore. Ma due punti sono chiari. Primo, le elezioni sono in concreto più vicine perché non è pensabile che la legislatura si trascini a lungo in questo stato. Di fronte allo sfilacciamento istituzionale, il voto potrebbe essere il male minore. È vero che il leader di maggioranza relativa, appunto Berlusconi, è oggi il più contrario. Ma la candela si sta consumando, come si può dedurre da diverse prese di posizione. Ad esempio quella di Casini, di solito molto prudente. In ogni caso la chiave resta nelle mani di Bossi. La strada del federalismo fiscale è ancora in salita e in ogni caso, dopo il «sì» finale, la Lega avrà interesse ad andare a votare. Anche per sottrarsi a una condizione che l'elettorato del Carroccio subisce con crescente affanno.

Secondo, sarebbe grave se le elezioni si svolgessero in un clima apocalittico: come un plebiscito su Berlusconi o la battaglia finale fra politica e ordine giudiziario. Qui Bossi ha già detto il suo pensiero: «No allo scontro con i magistrati». Ed è su questo nodo cruciale che potrebbe incrinarsi (non oggi, ma domani) il patto di ferro con Berlusconi.

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