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Questo articolo è stato pubblicato il 03 marzo 2011 alle ore 08:00.

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Con il voto di fiducia alla Camera di ieri è finalmente terminato l'iter del decreto del federalismo municipale, che diventa ora legge dello Stato. La vicenda lascia un po' d'amaro in bocca. Sul piano del metodo, è deprimente che un percorso iniziato con l'approvazione quasi unanime da parte del Parlamento di una legge delega, e proseguito per parecchio tempo in modo altrettanto bipartisan, finisca in rissa e a colpi di fiducia. Dimostra l'incapacità delle forze politiche italiane di trovare un minimo comune denominatore anche su riforme che per propria natura nulla dovrebbero avere a che vedere con elementi di parte, quale appunto la ricostruzione, in attuazione di una precisa norma costituzionale, di nuovi rapporti finanziari tra centro e periferia.

Sul piano del merito, il decreto presenta qualche luce e molte ombre, su cui si è già a lungo insistito su queste pagine. Ombre anche nel senso letterale di mancanza di chiarezza, visto che il decreto rimanda in realtà al futuro le decisioni sui nodi più importanti della riforma. Per esempio, non si sa bene come la nuova compartecipazione comunale all'Iva sarà determinata, vista l'assoluta mancanza d'informazioni sulle basi imponibili locali, o che succederà, passato il periodo di transizione, ai fondi perequativi comunali. Ci si può forse consolare pensando che poiché gli elementi più controversi della riforma, a cominciare dall'introduzione della stessa Imu, la nuova imposta unica municipale, sono rimandati al 2014, ci sarà probabilmente tempo per ripensarci.

Nell'immediato, gli effetti saranno comunque modesti. I comuni riusciranno probabilmente a chiudere i bilanci nel 2010 con qualche maggior tranquillità, grazie allo sblocco parziale e retroattivo dell'addizionale sull'Irpef. Per i cittadini la novità più importante riguarda invece l'introduzione della nuova cedolare secca sugli affitti, una riforma che c'entra in realtà poco con il federalismo municipale, ma che è stata inserita nel decreto. Avvantaggerà i contribuenti onesti e potrebbe portare a un'emersione dell'imponibile, anche se bisognerà vedere se le ipotesi ottimistiche della Ragioneria dello Stato in questo campo saranno poi sostenute dai fatti.

Approvato il decreto sul federalismo municipale, è però tempo di guardare avanti. E nell'immediato c'è il decreto di riforma del fisco regionale, su cui è iniziato l'esame da parte della commissione parlamentare. Qui le possibilità di una soluzione bipartisan e di un compromesso non al ribasso ci sono tutte, anche perché il decreto innova meno nei confronti dell'esistente rispetto a quello comunale. Restano tuttavia, assieme a molti punti ancora non chiari, alcuni nodi fondamentali che devono essere affrontati primariamente. Il primo riguarda il nuovo fisco regionale. Questo è previsto basarsi sugli attuali tributi regionali, ma con qualche innovazione importante. Si prevede un incremento nella componente obbligatoria dell'addizionale regionale sull'Irpef, per compensare trasferimenti e compartecipazioni abolite, un maggior spazio di manovra attribuito gradualmente alle regioni sulla parte discrezionale dell'addizionale, sia sulle detrazioni che sull'aliquota, nuovi criteri per l'attribuzione territoriale della compartecipazione all'Iva, e infine la riattivazione della possibilità di variare l'aliquota sull'Irap.

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