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Questo articolo è stato pubblicato il 05 marzo 2011 alle ore 08:15.

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Quando un problema rilevante non si risolve, c'è sempre il rischio che si cerchi una soluzione in modi e tempi sbagliati. È questo il caso dell'assetto proprietario della Banca d'Italia: aspetto cruciale della sua indipendenza, che però non va assolutamente confuso con il problema della ricapitalizzazione delle banche, e soprattutto va risolto in un altro momento con una soluzione trasparente e definitiva, come quella dell'emissione diretta di obbligazioni o di azioni, quotate in Borsa.
È già successo nel 2008. La questione del rafforzamento patrimoniale delle banche - la cui importanza è stata nuovamente rimarcata a Verona dal governatore Draghi - ha fatto riemergere il tema della definizione della proprietà del capitale della Banca d'Italia. È bene ribadire quello che all'epoca segnalammo su queste pagine: le due questioni devono essere tenute rigorosamente separate.

La definizione con Basilea 3 delle linee che governeranno la fisionomia del capitale delle banche ha messo in moto un processo che spinge le autorità di vigilanza nazionali e le banche a considerare le politiche più opportune di rafforzamento dei presidi patrimoniali e di liquidità. In questo clima in Italia è riapparsa sotto traccia la memoria del fatto che nel nostro paese - sulla base della legge 262 del 2005 - avrebbe dovuto essere promulgato entro il 31 dicembre un apposito regolamento, volto a trasformare la Banca d'Italia in un soggetto a completa proprietà pubblica. La pubblicizzazione della Banca d'Italia avrebbe dovuto avvenire attraverso il trasferimento delle quote di partecipazione oggi in mano a soggetti diversi dallo Stato, che sono banche e assicurazioni.
È necessario evitare confusioni tra le due questioni: il riassetto della proprietà della Banca d'Italia dovrà avvenire in tempi e modi che rendano inequivocabile che l'unica bussola sia quella dell'unico parametro finora riconosciuto a livello internazionale: l'indipendenza della gestione.

Il tema dell'assetto della governance della Banca d'Italia fu sollevato - con un articolo di Guido Tabellini e di chi scrive - nel gennaio del 2005: sulla base dell'analisi economica e del confronto internazionale se ne rilevavano le anomalie e i rischi di cattura sia da parte del mondo politico che delle stesse banche controllate. Negli anni successivi, diverse delle anomalie allora sollevate sono state sanate alla luce sia della legge 262 del 2005 sia del nuovo statuto approvato nel 2006.
Questo però non significa che il tema della rilevanza dell'assetto proprietario della banca centrale, al fine di garantirne l'indipendenza, sia sparito. Anzi. Le vicende legate alla crisi finanziaria hanno mostrato in tutta evidenza che le banche centrali devono avere il pieno controllo del loro bilancio, sia in tempi normali che in tempi straordinari; il che significa che la banca centrale deve essere indipendente dalla politica anche sul piano finanziario.
Prima della crisi finanziaria, per le banche centrali dei paesi industrializzati essere indipendenti anche contabilmente era relativamente scontato. La banca centrale ha un passivo che non le costa nulla, in quanto la moneta emessa non paga interessi. Dal lato dell'attivo, a parità di rapporti con l'estero, si trovavano tradizionalmente titoli di Stato fruttiferi e a rischio nullo, acquistati direttamente sul mercato o come garanzia del rifinanziamento offerto alle banche. Per le banche centrali produrre profitti utili a sostenere l'attività corrente non era un compito difficile. Inoltre, soprattutto per le banche centrali focalizzate sulla stabilità monetaria, l'uso dell'inflazione come strumento di finanziamento trovava un limite naturale. La crisi finanziaria ha profondamente modificato il bilancio delle banche centrali, sotto almeno tre punti di vista: sono aumentate le dimensioni, l'eterogeneità delle voci, la rischiosità complessiva.

Dunque oggi più che ieri è maggiore la necessità di evitare che una banca centrale sia finanziariamente fragile, perché può essere più facilmente catturata dalla politica e/o dalle banche. L'indipendenza finanziaria della Banca d'Italia deve quindi guidare le possibili ipotesi future di rafforzamento patrimoniale, nel più generale scenario delle regole europee. Poiché il garante ultimo della solvibilità di una banca centrale sono i cittadini contribuenti, viene naturale pensare ad essa come a una public company nel senso letterale del termine. Si potrebbe pensare all'emissione diretta di titoli obbligazionari o azionari sul mercato. Non sarebbe una novità. Un buon disegno delle regole consente di avere passività sul mercato di banche centrali senza che questo possa rappresentare una fonte inedita di cattura.
Le banche centrali di Svizzera, Belgio, Giappone e India sono quotate in Borsa. Oppure è una soluzione troppo semplice, lineare e trasparente?

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