Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 06 marzo 2011 alle ore 15:30.
L'ultima modifica è del 06 marzo 2011 alle ore 15:46.

My24

Buone notizie: siamo ricchi. Ma no, non è possibile, il paese è in declino, la crescita è la peggiore del mondo occidentale da quasi 20 anni, il debito pubblico è il terzo del globo... Giusto, giusto: ma una parte dei nostri problemi deriva esattamente dal fatto che siamo così ricchi, o meglio, lo Stato e gli enti locali italiani lo sono.
Secondo le anticipazioni diffuse ieri, il gruppo di lavoro ministeriale guidato dal professor Piero Giarda, incaricato di analizzare il bilancio dello Stato, è giunto alla provvisoria conclusione che il patrimonio pubblico cosiddetto "fruttifero" avrebbe un valore (non ancora aggiornato) di 675 miliardi di euro (215 dello Stato centrale e 460 delle regioni) ma solo il 40% sarebbe impiegato in modo remunerativo.

Gli immobili pesano per 420 miliardi, le partecipazioni in società per 63 miliardi, anche se questa cifra è probabilmente più bassa della realtà: il solo stock in Eni ed Enel vale a prezzi di mercato 34 miliardi senza contare il premio di maggioranza che si otterrebbe dismettendo il controllo dei due colossi energetici. Le concessioni demaniali varrebbero 70 miliardi e ci sono da calcolare altresì i crediti fiscali.

Insomma lo Stato italiano poggia su basi solide eppure, di fronte a tanto capitale pubblico, c'è chi insiste a voler depredare gli italiani della loro ricchezza privata attraverso una bella patrimoniale proposta, sotto varie forme, da Amato, Capaldo, De Benedetti, Veltroni, per evitare un default in stile Argentina del Belpaese sotto il peso del debito pubblico.
Come è stato ribadito ieri in un interessante convegno promosso dall'Istituto Bruno Leoni, una siffatta imposta sarebbe dannosa e rapace. Dal mio punto di vista si tratterebbe di un provvedimento iniquo in quanto tasserebbe beni (liquidi o immobili) già tassati al momento della produzione del reddito o della vendita.

Inoltre sarebbe discriminatorio e distorsivo perché non toccherebbe tutto (ad esempio si oserebbe mai tassare le polizze vita?) e scatenerebbe un'allocazione inefficiente delle risorse dirigendole verso quei beni che presumibilmente andranno esenti dal tributo o saranno più difficili da rintracciare (ho già visto riapparire il sorriso sul viso di molti banchieri svizzeri che ricordano a tutti quelli che incontrano - non a torto - quanto inaffidabile sia lo Stato italiano) e scoraggerebbe gli investimenti verso quei settori più a rischio (ad esempio, l'immobiliare). Un bell'incentivo all'evasione, dunque, e una droga ai governi per evitare le uniche vere politiche che possano evitare il default, cioè il risanamento del bilancio, attraverso una drastica riduzione della spesa pubblica. Guardate quello che è successo dopo l'ingresso nell'euro: i tassi d'interesse si sono molto abbassati e quindi il nostro servizio sul debito è diventato meno drammatico (oggi paghiamo interessi pari al 4,7% del Pil ai creditori dello Stato, nel passato il 9-10%) e qual è stata la risposta della nostra classe politica, ridurre la spesa per completare il cammino virtuoso?

Macché! Hanno aumentato la spesa corrente (e un po' le tasse), finché nel 2009 le uscite statali sono arrivate al 52% del Pil e nel 2010 sono ancora quasi il 51 per cento. E che succederebbe dopo la rapina di centinaia di miliardi al povero contribuente? A chi l'indovina diamo un sussidio pubblico.

Ma non bisogna essere sempre negativi, cerchiamo quindi di cogliere l'occasione offerta dal dibattito in corso. In effetti, oltre all'imprescindibile taglio alla spesa corrente, ci sarebbe il modo di organizzare un incasso straordinario di 40 miliardi l'anno per 10 anni, abbattendo il debito pubblico (a valori correnti) del 25% del Pil e facendo risparmiare, in un momento di tassi d'interesse in crescita e alla fine del percorso, tra i 15 e i 20 miliardi l'anno d'interessi sul debito contribuendo così anche al risanamento del deficit. E quale strumento si potrebbe utilizzare per ottenere un così buon risultato? Una patrimoniale, ovviamente. Ma non una che incida sulle tasche del cittadino bensì su quelle dello Stato, costringendolo, con la stessa forza che utilizza il fisco, a vendere ai privati quel patrimonio che dimostra di saper amministrare così male.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Shopping24

Dai nostri archivi