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Questo articolo è stato pubblicato il 09 marzo 2011 alle ore 08:44.
L'ultima modifica è del 09 marzo 2011 alle ore 08:20.

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Gianni RiottaGianni Riotta

Gentile direttore, leggendo l'articolo di Marco Ferrante pubblicato sul Sole 24 Ore del 17 febbraio («Quando le nostre aziende riuscivano a salvare i Faraoni») ho avuto la sensazione di vedere il film della mia vita. Da quando, giovane neo-diplomato, nel 1956 ho incominciato ad amministrare una piccola società con una trentina di dipendenti. A seguire, via via fino al 1978, aziende sempre maggiori. E ho vissuto tutta l'epopea della ricostruzione, del miracolo economico, della prima crisi denominata "congiuntura" nel 1964; della rivoluzione del '68-69.

Dopo di allora, di crisi ne abbiamo vissute svariate. In condizioni sempre peggiori. Fino alla famosa marcia dei 40mila, che costituì un punto di ripartenza. Non certo, comunque, verso un nuovo miracolo economico. Fenomeno assolutamente irripetibile. Perché l'imprenditoria italiana, purtroppo, non era e non è mai più stata un modello di coesione. Si direbbe che ci divide un senso d'invidia e di gelosia verso i colleghi che consideriamo, tuot curt, concorrenti. Da contrastare e, possibilmente, da sconfiggere. Non è un poco deprimente tutto questo? Come diceva Gaber in una sua malinconica canzone, anch'io «purtroppo italiano lo sono». E in certi casi quasi me ne vergogno. Nella constatazione del bassissimo livello che abbiamo raggiunto.
Giuseppe Maioli
Ragioniere commercialista - Revisore contabile
Bologna

Caro Maioli non c'è da vergognarsi per nulla. Ogni identità porta bene e male, i francesi hanno i lutti del Terrore, gli inglesi le stragi del colonialismo, e, nel presente, dagli Usa alla Russia alla Cina non c'è popolo che non abbia macchia. Non occorre mai perdere il punto di vista, mai: come gli amici che si dicono fieri del Rinascimento e poi si vergognano, oggi, di essere italiani. Occorre lavorare perché il paese torni ad essere bello, trasparente, efficiente e ricco. Ieri se n'è parlato a Roma a un convegno Fondazione della Libertà con il ministro Matteoli, il professor Barbera, il columnist del Corsera Polito e Bonanni, leader Cisl. Punti di vista diversi ma accordo su un punto: possiamo ritrovare fiducia e idee, dal Nord al Sud, a patto di non vergognarci, di accettare che né destra, né sinistra, né centro hanno il monopolio della verità. Io resto ottimista, malgrado tutto.

Finalmente il Memoriale
Gentile direttore, seguivo da tempo la vostra eccellente iniziativa e sono contento che si è concretizzata nella Fondazione Memoriale caduti per la pace. È più che doveroso e del tutto ovvio che io dica che "era ora", ci si doveva pensare prima ma tant'è il nostro paese che in primis pensa a dividersi (inutile che ritorni sul discorso della Festa del 17 marzo) e poi nei momenti topici e/o eccezionali torna a compattarsi. Senza retorica, ma ripeto e ribadisco anche con lei il mio punto di vista: occorre rimettere nella testa il valore di patria e unità nazionale.
Mario Leofrigio
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La polemica sul crocifisso
Gentile direttore, ho letto sul supplemento Domenica del Sole 24 Ore del 6 marzo l'articolo di Sergio Luzzatto «Doppio silenzio di laici e cattolici» sul fatto che i politici italiani hanno disatteso i pronunciamenti della Corte di Strasburgo sulla presenza del crocifisso nelle aule scolastiche. Non sopporto più le distinzioni tra "politica laica" e "politica cattolica", dove una naturalmente è più giusta dell'altra. Se Dio si è fatto uomo per pietà del mio niente, chi sarei io per dire vero o falso? Ne consegue la logica che chiude l'articolo: arredo sacro per eccellenza? Spazio improprio, estraneo alla fede, crocifisso profano? Il crocifisso si potrà pur togliere ma non si potrà togliere l'uomo vivo Cristo che ha portato nel mondo un giudizio nuovo, un'esperienza nuova. È questo il punto di paragone per tutti, cristiani o no. Veri o falsi non mi interessa.
Sergio Sala
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Il Sole e le donne
Gentile direttore, le scrivo per esprimerle tutto il mio apprezzamento per la scelta di dare ampio spazio sul Sole 24 Ore ai molti temi che sono dibattuti nel mondo femminile. Non mi riferisco solo al decreto sulle quote rosa, ma anche a tutte le tematiche della conciliazione vita/lavoro, ai commenti e alle idee. Non le dico questo solo per la ricorrenza dell'8 marzo: è facile scrivere delle donne e sulle donne l'8 marzo, e infatti tutti lo fanno, più o meno bene. Quel che conta, e il Sole 24 Ore in questo si distingue, è scrivere di questi argomenti anche gli altri 364 giorni dell'anno. E complimenti in particolare alle sue colleghe D'Ascenzo e Zavaritt.
Federica Tortora
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