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Questo articolo è stato pubblicato il 09 marzo 2011 alle ore 08:42.
L'ultima modifica è del 09 marzo 2011 alle ore 06:38.
Congelare i beni della Libia è stato un atto inevitabile. I 27 paesi dell'Unione Europea lo hanno deciso all'unanimità. Le quote azionarie della Lia, la banca centrale libica, e di Lafico, il fondo sovrano del colonnello Gheddafi, sono sterilizzate. Finalmente: pecunia non olet, ma c'è un limite a tutto. Gli aerei che sparano sulla folla, le rappresaglie nei confronti dei ribelli necessitavano di una risposta da parte dell'Occidente. La finanza non è un'enclave in cui tutto è concesso. Il congelamento delle quote azionarie del fondo sovrano di Tripoli e della banca centrale fa scalpore, ma ha un effetto abbastanza limitato in Europa.
Se però il contagio delle rivolte si allargasse e travolgesse tutti i paesi del Nordafrica e del Golfo Persico, allora il problema diventerebbe di proporzioni gigantesche. Grazie al petrolio i fondi sovrani gestiscono un patrimonio di 1.500 miliardi di dollari. Di questi, 600 miliardi sono stati investiti in Europa e circa 300 in Nord America. Soldi che in passato hanno foraggiato banche in crisi, case automobilistiche e imprese di tutti i settori, ma che oggi iniziano a scottare. Pecunia non olet, ma una riflessione sistemica prima o poi bisognerà farla.
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