Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 10 marzo 2011 alle ore 08:20.

My24
Guido Rossi (Contrasto)Guido Rossi (Contrasto)

Compie 80 anni il 16 marzo, il 22 un convegno celebrerà l'evento all'Università Tre. Discussione sul sistema dei controlli e diritto dell'impresa, intervengono Paolo Benvenuti, Pietro Rescigno, Luca Enriques, Luisa Torchia, Giovanni Maria Flick e Francesco Greco. Chiuderà i lavori lui, il festeggiato, Guido Rossi.

Non è facile fare i conti con l'area del paesaggio pubblico italiano che Rossi rappresenta, per eclettismo e storia personale. Il suo curriculum lo classifica giurista. È stato il presidente della Consob tra il 1981 e il 1982, ha lavorato alla legislazione antitrust in Italia, alle norme sull'Opa e sull'insider trading, ha presieduto un paio di volte la Telecom, è stato senatore della Sinistra indipendente alla fine degli anni 80 e, incidentalmente, nel 2006, fu il commissario della Figc nell'anno in cui 1) la Juve andò in serie B; 2) l'Inter vinse lo scudetto a tavolino; 3) l'Italia vinse i Mondiali. E tanti - perfidi? - juventini ancora gli rimproverano dal web la dichiarata fede interista.

E questo è solo il curriculum essenziale. Poi c'è il "resto", perché Guido Rossi è un pezzo di storia della classe dirigente italiana. Ghislieriano, cioè studente di legge a Pavia e convittore di uno dei famosi e semi-mitici collegi, il Ghislieri, ha coniugato la visione generalista e la cultura umanista con la capacità tecnica di gestire un dossier. Una tradizione che in Italia è stata ricca, è vissuta in Bruno Visentini, Guido Carli, Francesco Forte (ghislieriano anche lui) e in classi anagrafiche successive in Giuliano Amato e in Giulio Tremonti (studente pavese, ma al Fracaro). Master ad Harvard, è un uomo che si cimenta indifferentemente con un testo tecnico sull'Opa, un pamphlet dell'Adelphi, passando per la prefazione a Supercapitalismo dell'ex ministro del Lavoro di Bill Clinton, Robert Reich.

Politicamente complesso. Progressista, con un'antica simpatia intellettuale per il Manifesto (chiese consiglio a Valentino Parlato e a Indro Montanelli quando dovette scegliere un direttore per il Messaggero, poi fece di testa sua), liberale-inclinazione Keynes, progressista nelle classificazioni dei tempi moderni, ma anche critico nei confronti della crescita a ogni costo e del "terzaviismo" anglosassone, ferito dalla crisi del 2008 che nasce dal boom iperfinanziario dell'economia angloamericana. Rossi non è soltanto un giurista con una tendenza alla visione politica.

È un uomo di potere. È stato il presidente di Ferfin Montedison nella fase cruciale post Raul Gardini, è stato per due volte alla testa di Telecom, sotto l'Opa dei "capitani coraggiosi", sostenuti da D'Alema con «la merchant bank di palazzo Chigi dove non si parla inglese» (sua definizione che ebbe grande fortuna), e la seconda volta dieci anni dopo, nella fase di passaggio dall'era Tronchetti all'ingresso dei soci finanziari convogliati in Telco.

Nel frattempo, anche qui in posizione disomogenea rispetto al principale partito del centro-sinistra italiano, allora i Ds dalemian-fassiniani nel 2005, anno chiave nella recente storia finanziaria, rappresentò gli interessi di Abn Ambro all'epoca molto pro-mercato (gli olandesi si sarebbero scoperti un po' meno favorevoli al gioco internazionale delle acquisizioni transfrontaliere quando subirono l'attacco di Royal Bank of Scotland, ma con questo il professore non c'entra).

Consulente di aziende e istituzioni, di Mediobanca, delle Generali, dell'Inps, tratta il potere economico alla pari, banchieri, industriali, finanzieri. C'è chi si ricorda un vezzoso duetto di sguardi e battute tra lui in platea e Marchionne sul palco intervistato al Festival dell'economia di Trento a proposito di strapotere della finanza internazionale. Da destra e da sinistra, nel tempo i suoi avversari pur riconoscendone la statura di portavoce della necessità per l'Italia di darsi regole di mercato cogenti, gli hanno contestato un eccesso di rapporti con il potere giudiziario, soprattutto a Milano, a causa di un vecchio sodalizio amicale con il magistrato Francesco Greco.

Alla fine tanti ritengono che l'aspetto più interessante della personalità di Rossi sia nella dimensione di consapevole generatore di una mistica della borghesia italiana, processo altalenante qui da noi e, di questi tempi, in calo al botteghino. Questo tratto gli deriva dalla dimensione di grande professionista, come si sarebbe detto un tempo, e dal relativo collegamento con il denaro. Ma, di più, dalla sua struttura culturale, il collezionismo d'arte, le prefazioni dotte sui temi del momento, i libri con il più raffinato dei publisher, il Roberto Calasso di Adelphi, il gusto convegnistico, la passione per la citazione rara.

La più significativa (e per questo molto riportata) è quella di una polemica pubblicistica sul Corriere della Sera, lettere annesse, tra il professor Rossi e il professor Tremonti sull'identità intellettuale di Walter Rathenau, azionista di Aeg e ministro dell'Economia a Weimar. Rathenau che fu anche giurista secondo Rossi. Giammai, secondo Tremonti, per il quale era soltanto industriale e politico, detestato da Musil che se ne ispira per il ritratto di Paul Arnheim e da Stefen Zweig che lo considerava un vanitoso. Il battibecco fu molto gustoso, in ballo c'era il primato borghese. Attraverso Walter, in fondo, parlavano di loro, Guido, Giulio, la classe dirigente italiana. Auguri, professore.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi